martedì 24 gennaio 2012
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La Lega Nord all’opposizione stenta a ritrovare l’energia politica che aveva sfoggiato in altri tempi. Le frizioni interne sembrano destinate ad aggravarsi, la stessa leadership di Umberto Bossi fatica a imporsi e trova sbocco solo nell’incanalare la rabbia dei militanti contro l’antico alleato: il Pdl. Alla base di questa condizione critica, c’è la debolezza di una prospettiva politica evanescente, quella del "quarto polo" in cui potrebbero convergere per interesse elettorale e antagonistico le attuali, diversissisme opposizioni al governo di Mario Monti, e la ritornante scommessa contro l’Italia "che è fallita". Eppure il Nord produttivo ha una funzione nazionale ed europea che non può essere cancellata da qualche battuta sarcastica. La Lega "di governo" ha svolto, nei suoi momenti e con i suoi uomini migliori seppure con cicliche e irrefrenabili contraddizioni verbali, questa funzione.

Esercitando un utile traino riformista in direzione del federalismo (che, in Italia e altrove, o è solidale o non è). Se ora si abbandona alla retorica antinazionale, di fatto, il Carroccio si separa dalla consapevolezza delle popolazioni che intende rappresentare. La critica al governo, naturalmente, è legittima in una democrazia, ma se si ferma all’insulto gratuito e non viene accompagnata da controproposte convincenti e comunque realistiche, rischia l’irrilevanza puramente protestataria. La prospettiva in cui si inscrive l’agitazione leghista, almeno nei termini in cui è stata presentata nelle recente manifestazione milanese, è di tipo "greco", e questo stride con le posizioni assai più responsabili che lo stesso partito aveva assunto nei mesi precedenti alla crisi di governo. È vero che in una fase critica dell’economia possono emergere fenomeni di disgregazione, delegittimazione delle rappresentanze, caduta della capacità di mediazione e di mantenimento della coesione sociale, di cui si vedono già aspetti preoccupanti soprattutto nel Mezzogiorno. Per un partito che punta a partecipare da protagonista a una rappresentanza maggioritaria nel cuore del sistema sociale e produttivo, accodarsi alla logica dello sfascio è contraddittorio e controproducente, anche se può dare qualche soddisfazione propagandistica alla base più militante e umorale.

C’è da sperare che alla fine anche nella Lega prevalga la consapevolezza della gravità della situazione e dell’assoluta improponibilità, come alternativa politica (figuriamoci di governo...), dell’ammucchiata delle attuali opposizioni. Se non sarà così, se la Lega proseguirà in questo percorso avventuristico, il quadro politico generale ne risulterà. definitivamente e profondamente modificato, non solo l’assetto dei poteri locali. Se il vecchio nucleo dell’alleanza di centrodestra sarà smantellato dall’aggressività leghista, il problema di dare una rappresentanza nuova (e sempre in grado di competere sul terreno elettorale) all’area "moderata" avrà risolto per sottrazione un primo problema. E questo ovviamente apre scenari inediti nella cosiddetta Seconda Repubblica, ma non inimmaginabili. La scelta di trasformare l’opposizione al governo in opposizione al sistema, rinverdendo un po’ nostalgicamente antiche pulsioni, promette di condannare la Lega a una condizione di isolamento e di disperdere gli esiti (e anche gli esponenti) che hanno segnato l’evoluzione di questo partito-movimento.

E nessun orgoglio "padano" potrebbe compensare tutto ciò. In questo modo, sottraendosi alla responsabilità di fornire risposte alla crisi, si può lucrare il consenso più o meno temporaneo di qualche categoria, ma si rischia di perdere il contatto con la generalità di un sentimento popolare preoccupato e incerto del futuro, che però chiede risposte e non solo proteste. La risposta alla triplice crisi (economica, sociale e politica) che ci attanaglia non potrà mai essere piccola e autolesionista. La risposta dovrà saper ridare all’Italia e alla stessa Ue un’anima e un passo autenticamente europei e popolari.

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