sabato 5 gennaio 2019
De Paola (Osservatorio Bikeconomy): «Un km di ciclovia crea 5 posti di lavoro e si ripaga in un anno». Il settore chiede un aiuto al governo I progetti pilota a Cesena e Bari
Pista ciclabile (foto archivio)

Pista ciclabile (foto archivio)

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L’economia del pedale chiede spazio al governo 'del cambiamento'. In gioco ci sono una potenziale migliore qualità della vita, ma anche prospettive economiche di tutto interesse: siamo già il primo Paese in Europa per quantità di biciclette prodotte (con 2,34 milioni di unità) e – sul traino delle nuove e-bike – si punta ad arrivare ai 3 milioni di 'pezzi'. A studiare da tre anni le opportunità del settore è l’Osservatorio Bikeconomy. «Oggi si fa un gran parlare di stile di vita – racconta Annamaria De Paola, dinamico direttore dell’Osservatorio (che riunisce un pooldi esperti nei vari settori con il contributo anche di enti, tra cui l’Istituto per il Credito Sportivo, Trentino Sviluppo, ed aziende impegnate su questo fronte, come Bosch e Acea) –: fare un biciplan urbano significa riprogettare una città e ridefinirne i luoghi dell’abitare. Teniamo presente che un chilometro di pista ciclabile genera in media 5 posti di lavoro se si considera l’indotto e che, mentre i costi di realizzazione di un’autostrada vengono recuperati in un tempo stimato di 100 anni, quelli di una ciclovia in appena uno, con un indotto notevole».

La sfida, allora, è quella di coinvolgere sempre più amministratori e cittadini (quelli che in bici possono andarci) dei territori 'ciclisticamente critici' per far capire che l’investimento sulla bici è uno dei migliori possibili. Gli esempi, all’ultimo Bikeconomy Forum ideato assieme alla Fondazione Masi presieduta da Beniamino Quintieri, non sono mancati, pur restando ancora casi isolati in un’Italia che anche in questo campo sconta ritardi cronici: il Copehagenize, l’indice più completo al mondo delle città amiche dei ciclisti, basato su 14 parametri e che vede spiccare Copenaghen, Utrecht e Amsterdam, nel 2017 non riportava alcuna città italiana tra le prime 20 selezionate. Roma era desolatamente ultima tra le capitali europee, con l’1% di tutti gli spostamenti in bici, mentre una metropoli come Tokyo è nona. Gli esempi, dicevamo: c’è Cesena con il progetto 'Al lavoro in bici': chi va a lavorare sulle due ruote viene ricompensato con 25 centesimi a km per un massimo di 50 euro al mese, con tanto di app che verifica il percorso (solo nei primi 4 mesi hanno aderito in 200). Altro comune virtuoso è Collegno, nell’area metropolitana di Torino, dove il sindaco Francesco Casciano ha predisposto la 'Bicipolitana', la realizzazione di una rete di ciclabili per sfruttare l’opportunità di una popolazione che per l’80% vive a meno di 2 chilometri da una stazione di metro; e c’è Casole d’Elsa, in Toscana, dove il primo cittadino Piero Pii su un’area di 150 kmq sta dando vita a un vero ' hub' del cicloamatore, mettendo in sinergia una rete di Comuni, Pro loco, strutture ricettive, tour operator e negozi di bici, con un marchio comune che offre una serie di servizi agli amanti della bici. Sulla scia di Cesena, l’altroieri anche il sindaco di Bari, Decaro, ha annunciato i 'buoni mobilità': un rimborso fino a 25 euro al mese per chi rinuncia all’auto in città e utilizza la bici, assieme a incentivi per chi la compra.



Singole, belle storie dai territori locali che, tuttavia, non fanno ancora massa critica. Professa delusione Paolo Pileri, docente al Politecnico di Milano, autore del libro 'Ciclabili e cammini' appena uscito e punto di riferimento per essere l’ideatore di Ven-To, il mega-progetto della ciclovia da 679 km Torino-Venezia, lungo il Po (www.progetto.vento.polimi.it), che potrebbe partire nel 2022: «Progetti di questo tipo – afferma Pileri – sono l’ideale per combattere lo spopolamento di alcuni territori, andrebbero incoraggiati. Sono un’opportunità per ridare vita ad aree abbandonate e per creare posti di lavoro. Invece è dura farsi ascoltare. Il ministero delle Infrastrutture? Non ci ha ancora chiamati...». VenTo non è l’unico progetto: c’è la Ciclovia Adriatica da mettere 'in sicurezza', un tragitto di 1.727 km da Trieste a Santa Maria di Leuca, in Puglia, con degli spezzoni già attivi; c’è l’anello ciclabile del lago di Garda, per completare percorsi ciclabili e ciclopedonali per un totale di 140 km, e altri ancora. Tutto, però, si muove con troppa lentezza. C’è disappunto infatti per le opportunità insite nella 'rivoluzione a due ruote', che sta prendendo piede ma non è ancora colta a pieno. A rimarcarlo è ancora De Paola: «Il nostro obiettivo è proprio quello di far conoscere in Italia il fenomeno dell’economia che ruota attorno alla bicicletta, individuando le filiere che questa è in grado di attivare, dalle infrastrutture alla produzione e sviluppo di nuove tecnologie, passando per il turismo, la finanza fino al design e alla moda, alfieri del ' made in Italy' nel mondo. La bici è un moltiplicatore non solo dal punto di vista economico, ma anche in una prospettiva di benessere sia individuale sia collettivo».

Anche qui l’Osservatorio porta casi a supporto. Come la storia di Askoll, raccontata da Gian Franco Nanni, marketing director: storico produttore di motori elettrici per gli elettrodomestici 'bianchi', dopo 3 anni di ricerca nel 2015 ha deciso di sfuggire alla crisi diversificando e focalizzandosi nella progettazione di bici a pedalata assistita (con supporto elettrico) e scooter elettrici, quotandosi al segmento Aim di Borsa Italiana e arrivando quasi a quintuplicare il fatturato. O come Vadolibero: «Eravamo due giornalisti e fotografi – si descrive Antonella Grua – con la voglia di qualcosa di totalmente nuovo: nel 2014 abbiamo deciso di farlo rendendo omaggio alla passione per le bici e trasformandole in oggetti di design». Un’idea perlomeno coraggiosa, nel filone della creatività italiana. Sono nati così oggetti come Vertik, una lampada portabici (in verticale, risparmia quindi spazio) che consente di tenerla in casa e illumina l’ambiente come una scultura luminosa, o Domus, che funge assieme da mobile portabici, libreria e lampada.

Ma altro si può fare a partire proprio dalla produzione di bici. È l’opinione anche di due big intervenuti al Forum come Moreno Argentin, già campione del mondo (su strada nel 1986) e Davide Cassani, attuale ct della nazionale: «È un treno che l’Italia non si può lasciare sfuggire, siamo già in ritardo, ma possiamo recuperare il terreno perduto se si parte dal ritorno alla cultura della bici», affermano pressoché a una voce. L’Italia sta vivendo una grande contraddizione: siamo leader come produttori (seguiti da Germania, Portogallo e Polonia) dando lavoro ad oltre 8mila addetti, ma la domanda interna è ancora bassa rispetto ad altri Paesi europei. Nonostante l’83% degli italiani viva a meno di 30 minuti dal luogo di lavoro, solo il 4% usa la bicicletta per recarvisi, soprattutto a causa della scarsa qualità e interconnessione delle infrastrutture, a partire dalle rastrelliere, in molte città ancora scarse. I ciclisti 'frequenti' da noi sono 743mila, con percentuali alte in Emilia- Romagna, Veneto e nella provincia di Bolzano. Il settore ora punta sul fenomeno nuovo delle e-bike, che può replicare il boom a suo tempo delle mountain bike. All’ultimo salone di Parigi, storiche case d’auto hanno presentato modelli di e-bike. Le quote di mercato sono sempre più forti. Piero Nigrelli, responsabile del settore ciclo per Ancma, l’associazione di ciclo e motociclo, spiega che nel 2017 hanno segnato un +19% (148mila pezzi) sul 2016: «Abbiamo fatto una ricerca su 3.200 persone, e mentre per altri mezzi ci sono perplessità, la bici elettrica raccoglie un consenso unanime». Bisognerebbe seguire – anche qui – il modello della Germania, con la sua rete di 45mila chilometri di ciclovie. «Come diceva Einstein – conclude De Paola – 'se vuoi stare in equilibrio, devi muoverti'. Con l’auto si resta bloccati nel traffico, la bici è il giusto punto d’equilibrio».

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