Un vento gelido da Nordest: liberi di uccidersi o abbandonati?
giovedì 26 ottobre 2023

«Verrà la morte e avrà i tuoi occhi». Venne la nera signora evocata dalla celebre poesia di Cesare Pavese, e non lo trovò vivo, s’era ucciso. Il suicidio è così, è morire piuttosto che morire, morire da sé, morire prima. La morte resta per tutti l’appuntamento inesorabile, per noi che ci chiamiamo appunto “comuni mortali”. Ci fosse dato di scegliere di non morire, chi non firmerebbe? Per rimandare il tempo, almeno, il nostro ingegno ha esplorato la vita, le funzioni della vita, i meccanismi della vita, ha inventato farmaci, costruito macchine, trapiantato organi, in una sfida che sa guarire o placare l’insulto degli anni, o rimandare nel tempo la falce della morte. Così la clessidra riceve ancora un poco di sabbia, ma non si capovolge. Come fingerci dunque padroni della morte se ciò che è in nostro potere non è sconfiggerla, ma farci trovare già morti, già uccisi? E poi, poi, che accade oltre quel varco?

Questo pensiero, che in modo radicale smaschera l’inganno degli slogan dei promotori del suicidio assistito, a loro modo geniali nella seduzione (“liberi fino alla fine”, “liberi subito”) mi viene in mente nel leggere in cronaca che i Consigli regionali del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia si stanno indaffarando per preparare leggi regionali sul tema, tenendo per bozza il testo delle proposte popolari sulle quali i soci Coscioni e altri hanno raccolto le firme. Il punto di partenza, evocato come motore remoto delle novità, è la sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale, quella che nel processo Cappato (accompagnatore in Svizzera di Fabiano Antoniani ad uccidersi) aveva ritagliato uno spiraglio di non punibilità per l’aiuto al suicidio in casi specifici. Quattro le condizioni per andare esenti da pena: persona affetta da una patologia irreversibile; fonte di sofferenze fisiche o psicologiche assolutamente intollerabili; tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale; capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Una condotta esente da pena per il rotto della cuffia non è detto che sia il bene, né il modello. Anzi, la Corte aveva rammentato l’opposto, cioè lo scopo della norma «di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze». S’era premurata di dettare garanzie di verifica. E non aveva mai detto che il suicidio assistito dovesse far parte del servizio sanitario nazionale. Neanche in Svizzera dove l’aiuto al suicidio “senza motivi egoistici” è praticato da privati che si fanno pagare salato, nessuno si sogna di farne un servizio federale. Restavano comunque problemi etici di grave momento, perché l’etica, ha un orizzonte più grande del diritto penale stretto. Nel luglio 2019 il Comitato Nazionale di Bioetica fornì un ventaglio di opinioni: in primis quella che la difesa della vita umana va affermata come un principio essenziale, quale che sia la fondazione filosofica e/o religiosa di tale valore; e che il compito inderogabile del medico è l’assoluto rispetto della vita dei pazienti. Altre opinioni vi si affiancarono, in divergenze pensose; ma restò sullo sfondo il concetto che agevolare la morte segnava una trasformazione inaccettabile del paradigma del “curare e prendersi cura”.

Ora le iniziative dei Consigli regionali del Nordest sembrano vellicare gli umori di un pubblico che la propaganda radicale ha già in larga parte lavorato e preparato a pensare che se uno vuol mettere fine alla sua vita nel modo che gli pare sono affari suoi. Anzi sono un capitolo di assistenza sanitaria, con fornitura del veleno acconcio da somministrare. Lo strappo è già accaduto una prima volta in una Assl del Veneto, in modo giuridicamente abnorme. Infatti, né lo Stato ha messo la morte fra i LEA (livelli essenziali di assistenza) né alcuna Regione può aggiungere di suo in bilancio un “suicidio terapeutico”. Un paziente che soffre ha diritto a ogni terapia del dolore, alle cure palliative, all’accompagnamento; è sua la libertà di dar consenso alle cure, o rifiuto a ciò che sente e giudica accanimento. La morte nemica può diventare morte sorella, come nel Cantico.

Se manca la sensibilità etica, valga almeno l’attenzione giuridica e il ripasso della lezione che la Corte costituzionale ha dato sul dovere di proteggere «le persone più deboli e vulnerabili, in confronto a scelte estreme e irreparabili». Questa visione di cura, di assistenza, di solidarietà prende ora figura di impegno essenziale di amore umano e di carità cristiana nel documento che i vescovi del triveneto hanno pubblicato, e di cui giova l’integrale lettura. Le ragioni dello spirito fanno più viva la luce delle norme umane “costituzionalmente necessarie” (così la Corte n. 50 del 2022). Liberi di uccidersi o abbandonati allo scarto? La cura della persona, vivente o morente, non può essere disertata, mai. Perché la vita, è «da iscriversi tra i diritti inviolabili, e cioè tra quei diritti che occupano nell’ordinamento una posizione, per dir così, privilegiata, in quanto appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: