mercoledì 11 maggio 2011
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È purtroppo vero che siamo abituati a tutto, o quasi. E che ci risulta sempre più difficile lasciar affiorare oltre la soglia del generico malessere una vera reazione – semplice dignità, non l’inutile scatto di nervi – di fronte allo scempio di ciò che ci costituisce nel più profondo, che arriva a toccare la stessa fede in Gesù Cristo. A reagire ci sembra di esagerare, come minimo ci daranno dei "censori"... Pesa, infatti, un clima culturale che confonde la tolleranza con un’offensiva indifferenza, che porta il segno di una inesorabile vacuità e finisce per spianare il profilo dei princìpi umani fondamentali, rendendoli innominabili e isolando chi mostra di crederci come un impresentabile arnese fuori moda. Ogni tanto però succede qualcosa di talmente amaro e grave che un riflesso interiore non può non scattare, e così scopriamo che è ancora al suo posto. È esattamente questo che è accaduto di fronte all’incredibile espressione pescata in chissà quale pozzo di sensibilità da un pubblico ministero della Procura presso il Tribunale di Roma: richiesto da un esposto dell’Associazione ascoltatori radio-tv (Aiart) di ispezionare il brevissimo spot di una marca di auricolari per telefonini nel quale si evoca la Passione di Nostro Signore, ma solo per presentare un messaggio promozionale a sfondo sadomaso, il magistrato ha liquidato l’ignobile spot come esempio preclaro di «umorismo goliardico». Non importa che l’Istituto di autodisciplina pubblicitaria – massima autorità per chi produce e diffonde messaggi promozionali – abbia già sanzionato il filmato vietandone la riproposizione all’emittente che ha colpevolmente accettato di mandarlo in onda – Italia 1 – come a qualunque altro operatore televisivo. Si direbbe che questo pm romano non conosca legge oltre a quella del suo naso, che gli consiglia di ignorare l’affronto ai sentimenti religiosi di gran parte degli italiani. Ma, a ben vedere, dentro una cultura che svuota ostinatamente ogni identità ridicolizzandola attraverso la parodia di se stessa, il giudizio del magistrato ha persino una sua coerenza: se è indifferente (e, addirittura, mediaticamente patetico) credere in Qualcuno che ha sofferto sino alla morte per noi, allora anche una pubblicità blasfema che "gioca" proprio con questo evento cruciale non è altro – appunto – che una goliardata, tutt’al più un segno di «maleducazione», secondo quanto concede il pm degnandosi di considerare per un istante il punto di vista di chi si è sentito offeso. Non questione di reato, dunque, ma di educazione. Una delle metastasi della cultura «liquida» che «appare sempre più quella del relativo e dell’effimero» – secondo le parole rivolte domenica a Venezia dal Papa al mondo della cultura e dell’economia – è questo tenace lavorìo contro il dizionario stesso della nostra civiltà: modificando il nome delle cose viene perfezionato il loro snaturamento, la loro mutazione in ciò che si desidera. Con le sue piaghe Gesù Cristo ha redento l’umanità, niente di meno. E il suo incedere con la Croce addosso al Corpo lacero è il motivo per il quale a milioni nella storia, seguendone i passi, hanno versato a loro volta il sangue, creduto, sperato, costruito il presente e preparato il futuro. Noi vogliamo continuare a usare le parole con il loro vero significato, e non con quello artefatto della pubblicità: definire la parodia di tutto questo una «goliardata» è semplicemente inaudito. Ed è un segno di inescusabile ignoranza di ciò che non può essere fatto oggetto di vergognosa e volgare leggerezza. Si chieda pure con fare liquidatorio e quasi infastidito di archiviare l’esposto contro lo spot blasfemo: non ci persuaderanno che la realtà sia manipolabile a piacere (e a comando). Ma è un fatto: scopriamo che c’è una comunicazione e persino una giustizia che si ingegna a ribattezzare tutto ciò che è "antico" per adattarlo al "nuovo" finendo così, guarda caso, per assoggettarlo all’interesse, al mercato, all’ideologia... Non è una novità. Nel suo Mondo nuovo Aldous Huxley prefigurò appunto una società nella quale si cambiava nome alle cose per imporre pian piano un ordine plumbeo. Era ed è totalitarismo, e qualcuno prova ancora a rivestirlo dei panni della "tolleranza".
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