sabato 27 ottobre 2018
Istruzione religiosa, idealismo e fiduciosa speranza
Sia come arcivescovo di Milano sia come Papa, San Paolo VI è stato il precursore del dialogo con l’universo giovanile Un testo inedito preparato per il Sinodo ambrosiano del 1962

Sia come arcivescovo di Milano sia come Papa, San Paolo VI è stato il precursore del dialogo con l’universo giovanile Un testo inedito preparato per il Sinodo ambrosiano del 1962

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Nel gennaio del 1968 il cardinale Giovanni Colombo, che nell’estate del 1963 era divenuto arcivescovo di Milano succedendo a Giovanni Battista Montini, eletto Papa il 21 giugno di quell’anno, scrisse una lettera confidenziale al Pontefice nella quale descriveva la situazione pastorale della diocesi ambrosiana dopo il Concilio. Colombo espresse per iscritto a Paolo VI il suo suggerimento di concludere l’Anno della Fede – indetto nel 1967 per celebrare il IX centenario del martirio degli apostoli Pietro e Paolo, e che sarebbe terminato il 29 giugno 1968 – con un documento chiaro e fermo che avesse per argomento «l’educazione alla fede del popolo di Dio e specialmente dei giovani». Un tale atto di magistero avrebbe rappresentato «una grandissima grazia, e un incalcolabile rimedio per disperdere equivoci e per ossigenare l’aria nella Chiesa». Colombo, che era stato uno dei principali collaboratori di Montini in qualità di vescovo ausiliare e di vicario generale durante l’episcopato ambrosiano del futuro Paolo VI, sapeva quanto la realtà giovanile stesse particolarmente a cuore a Papa Montini.

Il problema dell’«educazione cattolica della gioventù» e l’attenzione alle diverse realtà associative giovanili erano state infatti al centro dell’articolata riflessione di Montini, in maniera costante, a partire dagli anni della giovinezza trascorsi nel fecondo ambiente bresciano, sino alle ultime fasi del pontificato, sviluppatosi in un momento storico travagliato anche dall’inatteso fenomeno della contestazione giovanile. Sin dalla prima giovinezza Montini si impegnò in attività formative, ma soprattutto partecipò intensamente alle attività promosse dall’Oratorio della Pace, retto a Brescia dai padri Filippini, l’istituzione che più di ogni altra fu il riferimento della gioventù cattolica bresciana, frequentato da tutti e tre i fratelli Montini. Il futuro Pontefice dunque conosceva già bene il mondo giovanile quando, nell’autunno del 1923, gli venne affidato l’incarico di assistente spirituale del circolo della Federazione universitaria cattolica della capitale, che tenne per un biennio e che fu preludio alla sua designazione quale assistente ecclesiastico generale della Fuci nel 1925. In questo contesto si inserì l’azione educativa rivolta dal giovane sacerdote agli universitari, che si protrasse fino al 1933. Come scrisse don Giuseppe De Luca, nel 1934, Montini era davvero «un uomo che sa che cosa sono le anime, le anime dei giovani e dei migliori giovani».

Giunto nel 1955 in diocesi di Milano, l’arcivescovo Montini apprezzò la vitalità delle associazioni cattoliche giovanili, alle quali si affiancava la tradizione, tipicamente ambrosiana, dell’oratorio parrocchiale come centro formativo dei ragazzi sul piano catechistico, liturgico, ludico e culturale. Insieme ai giovani della Giac, la Gioventù cattolica ambrosiana, Montini negli anni del suo episcopato celebrò la 'Notte Santa', un incontro notturno in onore della Madonna, che ogni anno, nel mese di maggio, si svolgeva in una località diversa della diocesi, con la presenza di oltre ventimila giovani. Dopo una fiaccolata notturna, a mezzanotte l’arcivescovo presiedeva una Messa per i giovani che partecipavano a questa notte «tanto propizia alla luce interiore quanto prodiga di raccoglimento per la sua oscurità esteriore». A pochi mesi dal suo arrivo, nell’agosto del 1955, parlando proprio agli assistenti spirituali della Giac, l’arcivescovo si interrogò sulla 'psicologia' dei giovani ed esortò gli assistenti a compiere «uno sforzo di conoscenza del mondo giovanile nel quale cercate di operare» in modo tale da suscitare nei giovani «quella psicologia, quell’animo che da compagni ve li trasformi in amici, da amici in seguaci, da seguaci in emuli; cioè li renda atti ad operare quel bene che voi proponete». Ma per fare della gioventù «la primavera della Chiesa nel mondo moderno – spiegava ancora Montini – bisognerà amarla ancora molto. Capirla, compatirla, ascoltarla, esortarla, edificarla, e poi ancora amarla».

Colpiscono anche le parole con le quali sessant’anni fa, nel dicembre del 1958, dieci anni prima del Sessantotto, il cardinale Montini aveva colto con lucidità le inquietudini dei giovani in una società che stava rapidamente mutando. Nella gioventù moderna egli infatti scorgeva giovani che di fronte al «problema della vita» si potrebbero definire, con un termine forte e inconsueto ma preso da sant’Agostino, «devastatori», perché – precisava l’arcivescovo – «entrano nella vita con un grave senso di irresponsabilità: non hanno senso di solidarietà, la vita è un’avventura, bisogna entrare con audacia, cercare di riuscire, di arraffare, di far quello che piace, di godersela, la vita»; e coloro che invece avanzavano nella vita «con un istinto quasi diffidente verso le idee, verso i programmi, verso gli ideali, verso ciò che esalta l’anima e può dare alla vita un senso di grandezza o di eroismo, o di bellezza, o di idealità, perché 'bisogna essere pratici'», e quindi, spinti da un senso «utilitario», procedevano in maniera «miope e senza nessuna pianificazione (..) senza scelta e senza grande personalità». A questa gioventù bisognava offrire una «visione», «una ricchezza spirituale, un idealismo», e a tutte queste «categorie» di giovani Montini presentava «l’idea cristiana come programma della vostra vita». «Guardate – spiegava parlando ai giovani il 28 dicembre 1958 – io vi offro ancora l’idea cristiana come programma della vostra vita. Guardate, è l’idea dei secoli, ma un’idea giovane ancora, perché le idee divine non sono mai sorpassate, non mai antiquate, non sono mai vecchie, ma sono eterne, sono perenni e il cristianesimo rappresenta queste idee eterne e perenni», che hanno la loro più profonda radice nel Vangelo. «Ebbene – concludeva l’arcivescovo – il Vangelo pone davanti alla gioventù che ha cuore, che ha senno, che ha cervello questo programma: Vieni che io ti do una formula di vita piena, forte, virile, capace davvero di riempire la tua vita di grandi idee, di grandi conquiste».

Un piano di vita posto «sotto il raggio d’una luce che diventa sempre più dolce e intensa, quella di Cristo», è la proposta che l’arcivescovo fece ai giovani milanesi in uno scritto autografo, rimasto sempre inedito e pubblicato per la prima volta proprio dal 'suo' Avvenire nel giorno della canonizzazione il 14 ottobre scorso. Il testo è conservato nell’archivio diocesano di Milano, e datato da Montini «nella festa dell’Immacolata del 1961». Le tre pagine manoscritte, dedicate a «I giovani», erano state forse preparate dall’arcivescovo per introdurre un opuscolo destinato alla Giac, che non è stato però recuperato. In esse l’arcivescovo proponeva ai giovani «un piano di vita per i loro anni in fiore; un piano perciò provvisorio, temporaneo, com’è ad esempio quello della vita militare; ma avente questo, come la milizia, uno stile proprio, qui tutto spirituale e morale; ma forte, profondo ed eroico». Il piano di vita che Montini suggeriva alla gioventù ambrosiana, posto «alla luce di Cristo, segretamente presente, parlante, vivo», avrebbe fatto sì che «le cose impossibili, antipatiche, quando Egli le propone, diventano con Lui facili e liete». E allora sarebbe stata «un’esperienza gioiosa, questo piano di vita» perché – continuava l’arcivescovo – «fatto apposta per stabilire contatti pieni di senso e di vita: il colloquio con chi è maestro, l’amicizia con chi è collega, la bontà con chi è prossimo, la fedeltà con chi è Chiesa, la carità con tutto il mondo». Solo animati da una fede gioiosa in Cristo si sarebbe potuto dare «agli anni giovanili l’integrità e l’intensità: la vera letizia e il vero amore». Anche alla luce di queste parole è più facile comprendere come, meno di quindici anni dopo, nell’Anno Santo del 1975, Paolo VI abbia voluto dedicare proprio ai giovani l’esortazione apostolica 'Gaudete in Domino', prima riflessione di un Pontefice sulla gioia cristiana.

La formazione della gioventù fu al centro dell’attenzione dell’arcivescovo Montini anche in occasione del Sinodo diocesano tenuto a Milano nell’autunno del 1962. Nelle carte da lui preparate in vista dell’assise troviamo un testo, anch’esso inedito, con notazioni autografe intitolato «Norme circa la formazione cristiana della gioventù». E ancor più interessanti sono i densi appunti che l’arcivescovo Montini prese durante le sedute del Sinodo. L’«istruzione religiosa» dei giovani doveva corrispondere per lui a un «primato di azione pastorale», strettamente collegato al mandato apostolico per cui – annotava Montini – «primo dovere: praedicate evangelium omni creaturae. Euntes docete ». E tuttavia, a conclusione delle sue stringate e brevi osservazioni, Montini annotava come, dopo aver compiuto il necessario compito di evangelizzazione e testimonianza di Cristo di fronte al «mondo che abbiamo davanti», bisognava comunque «andar via persuasi, fiduciosi, industriosi». Nei quindici anni del suo pontificato, travagliato da episodi anche violenti di contestazione giovanile, Paolo VI, il Papa che forse più di tutti i suoi predecessori è stato attento e profondo conoscitore dell’animo giovanile, e che a torto una pubblicistica sfavorevole aveva definito «mesto», non perse questa fiduciosa speranza nei confronti dei giovani. Numerosi furono i discorsi rivolti a loro e molte le iniziative dedicate ai giovani durante l’Anno Santo del 1975, mentre il grande raduno della gioventù cattolica, da più parti convenuta a Roma attorno al Papa nella Domenica delle Palme di quell’anno, fu forse all’origine delle attuali Giornate mondiali della Gioventù.

Fu proprio Paolo VI a volere, sin dall’inizio del suo pontificato, che la celebrazione della Domenica delle Palme fosse caratterizzata dalla presenza prevalente dei giovani, a ricordare la festosa accoglienza con la quale i giovani andarono incontro a Gesù. Proprio questo era infatti il significato più profondo dell’impegno che Papa Montini chiedeva ai giovani che voleva associati al suo mandato pastorale, imperativo e urgente, nell’arduo e fondamentale compito di evangelizzazione del mondo moderno: «Questa è la novità del nostro tempo; questo è l’indice della primavera dell’età presente, questo è l’atto di fiducia che la Chiesa fa al Laicato cattolico, fa a voi giovani specialmente – disse Paolo VI ai giovani durante la celebrazione delle Palme, il 30 marzo 1969 –. Tocca ai giovani oggi rivelare al mondo che Cristo, il Cristo sempre vivente nella Chiesa che lo predica, lo personifica, lo comunica, Cristo, affermiamo, è il Salvatore del mondo. (...) Sì, voi avete la missione di annunciare al mondo di oggi il Messia vero, il Cristo autentico, il Salvatore insostituibile. Voi dovete mostrare agli uomini del nostro tempo il volto luminoso di Gesù». ©

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