mercoledì 15 aprile 2015
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In tutti questi anni è invecchiato e s’è ammalato, Bruno Contrada, lo sguardo spavaldo del superpoliziotto è ormai solo un ricordo in bianco e nero. Ma è riuscito ad arrivare vivo al giorno in cui forse aveva smesso di sperare: ieri una Corte ha stabilito che la sua condanna per concorso esterno in associazione mafiosa non doveva essere pronunciata. Non è una sentenza della giustizia italiana, che nel frattempo ha fatto il suo corso rendendo definitivo il verdetto di colpevolezza e negando per tre volte la revisione del processo, tanto che la pena a 10 anni è stata scontata per intero. La notizia arriva, invece, dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu), la stessa che una settimana fa ha condannato l’Italia per i pestaggi nella caserma Diaz durante il G8 del 2001 a Genova, qualificandoli come torture. Molto clamore, e giustamente, hanno sollevato quei fatti. Molto, si spera, farà discutere la sentenza di ieri. Non perché il caso Contrada ne sia uscito ribaltato nel merito. Noi non sappiamo ancora (e non lo sapremo mai, probabilmente) se in questi quasi 23 anni l’ex-capo della Squadra Mobile di Palermo ha detto la verità, descrivendosi come la vittima di un complotto ordito dai mafiosi ai quali un tempo diede la caccia. Non sappiamo se dicevano la verità i 'pentiti' che lo accusavano di connivenze con 'Cosa nostra', accuse alle quali si dice dessero credito due eroi civili come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sappiamo che i giudici italiani, al termine di cinque processi, hanno ritenuto Contrada colpevole. Ma da ieri sappiamo anche che non avrebbero potuto farlo perché il reato di cui era accusato, di fatto, non esisteva nel nostro ordinamento nel momento in cui lo avrebbe commesso.  E qui scatta, al di là di una vicenda personale comunque dolorosa, un allarme per chiunque crede che la certezza del diritto sia una garanzia intoccabile per tutti. È vero, infatti, che dal ’94 in poi la giurisprudenza ha cercato di inquadrare e consolidare il 'concorso esterno in associazione mafiosa'. Ma resta il fatto che quel delitto nel codice non c’è, perché scaturisce dal combinato disposto degli articoli 416-bis (associazione mafiosa) e 110 (concorso in reato), e i suoi contorni appaiono tuttora - anche a giudizio di molti magistrati antimafia - non delineati con nettezza.  Il legislatore dovrebbe intervenire per eliminare ogni margine di discrezionalità in una materia che non ne dovrebbe consentire. Perché un’ultima cosa la sappiamo e questa senza dubbio alcuno: che la mafia è un’idra che avvelena la società, soffoca la democrazia, inquina l’economia. Per tagliare tutte le sue teste servono armi di precisione, quindi norme affilate e sentenze solide.
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