mercoledì 18 ottobre 2017
Sempre più città celebrano, invece della festa di Colombo, l'«Indigenous Peoples' Day». La comunità italo-americana è scontenta, ma cresce la sensibilità per la sorte dei popoli nativi
Un manifesto che invita a un raduno per contestare il Columbus Day

Un manifesto che invita a un raduno per contestare il Columbus Day

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Negli Stati Uniti si fa sempre più controverso il significato da attribuire al giorno dedicato a Cristoforo Colombo e alla scoperta dell’America: il Columbus Day, che si celebra il secondo lunedì di ottobre, e che quest’anno è coinciso con lunedì 9. Il navigatore italiano ebbe il merito di scoprire il nuovo continente o diede il via all’oppressione delle popolazioni indigene che la abitavano? Il presidente Franklin Delano Roosevelt nel 1937 stabilì che il giorno di Colombo diventasse una festività federale, ma negli ultimi anni un nuovo sentimento si è diffuso nel Paese che ha spostato l’attenzione sulle sofferenze inflitte ai popoli indigeni in seguito a quell’evento. Così molte città hanno deciso di sostituire il Columbus Day con l’Indigenous Peoples’ Day, per rendere omaggio ai Nativi Americani. L’ultima città in ordine di tempo a modificare la festività è stata Los Angeles, lo scorso 30 agosto, destinando però il 12 ottobre all’Italian Heritage Day, il giorno dell’eredità culturale italiana.

Una decisione che, tuttavia, scontenta la comunità italo americana che vede messo a repentaglio un suo fondamentale simbolo culturale: «Le celebrazioni di Colombo sono importanti per la comunità Italo americana. L’eredità del navigatore italiano fu essenziale per legittimare la nostra transizione da Italiani ad Americani. I nostri antenati hanno vissuto fasi molto difficili in questo Paese, affrontando discriminazioni e razzismo, e Colombo rappresenta un ponte tra il vecchio e il nuovo mondo», dichiarano dalla Columbus Citizen Foundation, che ha sede a New York.

Le tribù dei Nativi Americani salutano positivamente questa nuova tendenza, pur considerandola un tardo riconoscimento della loro storia e dei loro diritti civili: «Fornire un resoconto onesto e completo della storia è una responsabilità che abbiamo come società: ricordare il nostro passato ci permette di non continuare a prendere decisioni sbagliate per il futuro». Parte da questa premessa Shannon Keller O’Loughlin, cittadina della tribù Choctaw Nation dell’Oklahoma e direttore esecutivo dell’AAIA ( The Association on American Indian Affairs), organizzazione non-profit in difesa delle Tribù indiane e dei Nativi Americani nell’ambito dell’istruzione, della salute, dell’infanzia e dell’adolescenza, dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e della sovranità tribale. Un resoconto completo dei fatti storici significherebbe integrare la scoperta dell’America con la storia della colonizzazione delle terre abitate degli indigeni, una storia di oppressione, distruzione, morte, espropriazioni, violazioni dei diritti umani. «Il fatto che sempre più città cancellino il Columbus Day è la dimostrazione che più persone capiscono quale sia la corretta storia della scoperta dell’America – dice Shannon Keller O’Loughlin –. Che è molto più complessa di quella classica e semplicistica dell’impresa coraggiosa di un esploratore con tre caravelle. Molte genti e culture vivevano già nell’emisfero occidentale da tempo immemore».

Anche su questi basi il City Council di Los Angeles ha approvato la mozione a fine agosto, spiegando che «non c’è alcuna volontà di modificare la storia ma di riconoscere che per secoli le popolazioni indigene sono state oppresse dai nostri antenati». La prima città americana a introdurre la festività in onore degli Indiani d’America il 12 ottobre del 1992 fu Berkeley, in California, che quest’anno festeggia il 25° anniversario. Poi dal 2014 ben più di 50 città hanno modificato il loro calendario.

Si sta diffondendo una nuova consapevolezza? «Lo spero, ma è difficile da dire – spiega la O’Loughlin –. La ricorrenza ci fa piacere, ma la consapevolezza della nostra storia e il riconoscimento dei diritti dei nostri popoli non si deve limitare a una celebrazione annuale. Riteniamo che sia responsabilità degli Stati Uniti sostenere la nostra sovranità, l’autodeterminazione e l’autosufficienza». Un riconoscimento importante giunse già nel 1994 dalle Nazioni Unite quando proclamarono la 'Giornata mondiale dei popoli indigeni', che si festeggia il 9 agosto, mentre il 13 settembre del 2007 adottarono la Dichiarazione dei diritti dei popoli indigeni. Negli Usa molti Stati introdussero nel calendario un giorno dedicato ai popoli indigeni, ma la crescente adesione al movimento contro il Columbus Day, a cui assistiamo, si spinge oltre e vede molte istituzioni schierarsi dalla parte della storia delle minoranze oppresse, e fare ammenda rispetto agli errori commessi nel passato.

Una presa di coscienza che ci riporta alle parole del Papa che in più di un’occasione ha rivolto le sue scuse ai popoli nativi d’America per gli errori commessi dalla Chiesa durante la colonizzazione del 'nuovo continente', facendosi portavoce della loro causa. «Le scuse rivolte dal Papa e il suo impegno in difesa dei nostri diritti sono passi meravigliosi nella direzione del riconoscimento delle sofferenze patite – dice la O’Loughlin –. Speriamo che si arrivi ad annullare la Dottrina della Scoperta (una serie di bolle del XV secolo che giustificavano la colonizzazione delle terre dei nativi)». «Io credo – continua – che sempre più voci si levino a sostegno della nostra causa ed è un segnale positivo, ma allo stesso tempo assistiamo anche a una forte perdita di compassione in questo Paese per le nostre differenze come società, e alcune voci si fanno estreme e violente».

Aveva suscitato grande clamore l’anno scorso la solidarietà mostrata a Standing Rock nel North Dakota, quando in migliaia sono accorsi a sostegno delle tribù dei nativi per impedire la costruzione del Dakota Access Oil Pipeline, un oleodotto destinato ad attraversare la riserva indiana della Tribù Sioux. «Credo che l’attivismo a cui abbiamo assistito abbia fatto luce su atti di discriminazione e razzismo che sono ancora presenti verso le tribù», dice la O’Loughlin, che aggiunge: «Oggi come oggi scusarsi significa attuare cambiamenti in quelle politiche e nelle procedure istituzionali e di governo che continuano a danneggiarci. Per esempio non ci sono leggi che ci tutelino contro l’esportazione illegale di oggetti sacri e culturali dei nativi fuori dagli Stati Uniti. O che impediscano ai privati e alle industrie di distruggere i nostri siti sacri e di sepoltura. A livello scolastico è vero che la storia dei Nativi Americani si insegna nelle scuole spiegando usi e costumi delle tribù – continua la O’Loughlin – ma non c’è alcun collegamento con l’intera storia dei popoli indigeni, inclusa quella attuale. Si dovrebbe insegnare il nostro contributo significativo verso questo Paese e che questa un tempo era la nostra terra».

La conclusione è che «le nazioni tribali hanno una relazione politica speciale con gli Stati Uniti affermata nei trattati e in leggi nazionali e tribali. Questa relazione deve essere costantemente garantita e protetta tanto dalle tribù quanto dagli Stati Uniti. Questa è la parte più importante per una reciproca relazione di fiducia». Relazione che, in qualche modo, si vuol far prevalere rispetto a quella con il grande navigatore e scopritore italiano Cristoforo Colombo.

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