martedì 16 maggio 2023
La Cgil di Landini spinge per arrivare «fino in fondo» con le proteste, ma Cisl e Uil frenano. Le riforme del fisco, della previdenza e degli assetti istituzionali gli appuntamenti decisivi
Un momento della manifestazione indetta da Cgil, Cisl e Uil sabato 13 maggio a Milano, davanti all’Arco della Pace

Un momento della manifestazione indetta da Cgil, Cisl e Uil sabato 13 maggio a Milano, davanti all’Arco della Pace - Foto Avvenire

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Sabato scorso, in piazza a Milano, non appena la segretaria confederale della Cisl Daniela Fumarola ha iniziato il suo intervento dal palco, sottolineando la richiesta al Governo di «riprendere un dialogo strutturato con il sindacato», dalle prime file dei manifestanti è partito il coro della Fiom-Cgil di Genova: «Sciopero, sciopero, ge-ne-ra-le!». Al di là dei giochi di ruolo tipici delle manifestazioni – in cui i delegati d’una organizzazione rumoreggiano quando a parlare è il leader dei “cugini” e i quadri di quest’ultima organizzazione lo applaudono ancora più forte per coprire i dissensi dei primi – il quadretto andato in scena sotto l’Arco della Pace è assai indicativo non solo dei rapporti “dialettici” tra Cgil da un lato e Cisl e Uil dall’altra, ma soprattutto dell’impasse in cui si trova impantanato l’intero movimento sindacale. Tanto che, con ogni probabilità, non si arriverà né a conquistare l’auspicato «dialogo strutturato» né a proclamare un’azione di protesta tale da far cambiare rotta al Governo in maniera netta.

I contenuti proposti nel decreto Primo Maggio, infatti, non si prestano a suscitare una mobilitazione di massa – e men che meno uno sciopero generale – al di là della testimonianza di tre manifestazioni con qualche decina di migliaia di delegati a Bologna, Milano e sabato prossimo a Napoli. Il taglio del cuneo contributivo, infatti, sarà pure parziale e a scadenza a fine anno, ma porta comunque qualche decina di euro in più nelle buste paga dei lavoratori a basso reddito, ed è difficile protestare per questo, se non per dire che, come sempre, sarebbero necessari incrementi ben più ampi degli stipendi. Anche la parziale correzione sui contratti a termine – prevedendo un riferimento esplicito ai contratti collettivi firmati da Cgil, Cisl e Uil per quanto da coordinare con causali di rinnovo stabilite direttamente tra datore e lavoratore in condizione di debolezza – non è un bersaglio abbastanza grande da chiamare i lavoratori allo sciopero. Stesso discorso per l’innalzamento del tetto di pagamenti tramite voucher in alcuni settori, comunque limitati. L’unico provvedimento davvero incisivo, in maniera negativa, per i più deboli è la riforma del Reddito di cittadinanza che lascerà scoperti coloro che, tra i disoccupati poveri, non hanno nel nucleo familiare un minorenne, una persona con disabilità o un anziano. Ma su questo tema i sindacati, pur avendo aderito all’Alleanza contro la povertà, non si sono mai scaldati più di tanto e infatti nella manifestazione di sabato scorso si sono limitati a un fugace accenno di maniera.

Più che i contenuti dell’ultimo decreto, in effetti, è il metodo utilizzato dal Governo a infastidire e preoccupare Cgil, Cisl e Uil. Per ciò che lascia intendere di come la maggioranza pensa di muoversi in futuro: da sola. O, al massimo, confrontandosi con rappresentanze diverse, guardando ad altri interessi, più vicini a quelli della loro costituency fatta di piccole imprese, professionisti, lavoratori autonomi, balneari, tassisti, ristoratori, ecc. Non a caso, settimana scorsa la premier Meloni ha detto ai commercialisti di voler costruire con loro la delega di riforma del fisco, «e non con chi rappresenta i lavoratori dipendenti che pagano il 78% dell’Irpef», ha lamentato Maurizio Landini. Confermando ad Avvenire che il nodo è con quale rappresentanza si sceglie di confrontarsi, con quali modalità – «non la farsa della convocazione di domenica sera» – e che «l’indubbia vittoria elettorale del centrodestra garantisce sì la maggioranza in Parlamento, ma non necessariamente nel Paese, con milioni di cittadini che non hanno votato o hanno scelto altre opzioni. E ora in piazza c’è il mondo del lavoro che noi rappresentiamo e che dice chiaramente di non essere d’accordo e lamenta di non venire neppure ascoltato. Noi non ci fermeremo fino a che non riusciremo a incidere sulle scelte che vanno a danno dei lavoratori». Epilogo, però, per nulla scontato secondo il leader Cisl, Luigi Sbarra, e quantomeno «prematuro» per quello della Uil, Pierpaolo Bombardieri.

Quella appena avviata è insomma una battaglia sulla rappresentanza sociale, sul primato della politica rispetto al sindacato, su una diversa visione della sussidiarietà. Non certo una novità, almeno dai tempi del Governo Renzi che avviò la grande disintermediazione, approvando da solo il Jobs Act e il bonus fiscale. Raggiungendo prima un record di consensi salvo poi trovarsi il conto da pagare dei lavoratori-elettori nel referendum istituzionale che portò alla sua caduta. Uno scenario che potrebbe ripetersi anche per il Governo Meloni, attualmente ancora in fase di ascesa dei consensi. Molto dipenderà dall’atteggiamento e dai contenuti della prossima Legge di bilancio, con le annesse riforme della previdenza, del fisco e degli assetti istituzionali. È solo su questi tre capitoli fondamentali che i sindacati possono pensare – in autunno – di chiamare i lavoratori ad uno sciopero generale. Anche in questo caso, però, con molte difficoltà.

Se infatti sulle pensioni il Governo riuscisse a trovare i fondi per finanziare un, seppur parziale, ammorbidimento della legge Fornero – quota 41 o qualcosa di simile – sarebbe difficile per i sindacati protestare. Soprattutto, però, Cgil, Cisl e Uil rischiano di dividersi, anche al loro interno, sugli altri due temi fondamentali: fisco e istituzioni. Certo la prospettiva della Flat tax inquieta e non convince fino in fondo molti, perfino all’interno della maggioranza politica, per la verità. Ma occorrerà vedere il progetto finale: quanta progressività verrà comunque salvaguardata attraverso le deduzioni/detrazioni, quale sarà il trattamento dei carichi familiari, come il beneficio sarà distribuito fra le varie fasce di reddito. La Cisl e la Uil, infatti, credono possibile chiamare i lavoratori a scioperare solo una volta che saranno scoperte tutte le carte, valutate a fondo, verificate con i propri iscritti delle diverse fasce sociali, solo in caso di effettiva penalizzazione. Certamente non in maniera preventiva. Così pure, sulla prospettata autonomia differenziata, su cui in realtà alcune strutture in particolare del Nord non sono affatto critiche. Basti pensare che, appena poche settimane fa, non si è trovata l’unità tra le federazioni della scuola di Cgil, Cisl e Uil su un documento di critica ai nuovi possibili assetti differenziati.

La prospettiva di uno sciopero generale, così, risulta in questa fase quella di un’arma spuntata. Per le diverse visioni all’interno del movimento sindacale, per l’incertezza riguardo a un’adesione massiccia dei dipendenti pubblici e privati delle piccole e medie aziende. E soprattutto per l’esito niente affatto scontato delle proteste. Come spiegava il segretario-intellettuale della Cgil, Bruno Trentin, il vero problema, infatti, non è proclamare uno sciopero generale e far sfilare i lavoratori, ma cosa fare il giorno dopo. Quale cambiamento si riesce ad ottenere dopo aver azionato l’arma estrema del sindacato. La forza attuale della maggioranza, contro una certa debolezza della rappresentanza sindacale e peggio dell’opposizione politica, lasciano pensare che difficilmente si potrebbe raggiungere un grande risultato, ribaltando le strategie contestate.

A meno che non sia lo stesso Governo a sbagliare, fidandosi troppo di se stesso e della propria forza. Eccedendo nel procedere da solo, non tenendo conto di tutti gli interessi in gioco e soprattutto di quello comune. Ad esempio, finendo per penalizzare ulteriormente la capacità della sanità pubblica di rispondere ai bisogni di tutti, pur di alleggerire il peso delle tasse ai più ricchi. Oppure aumentando la flessibilità del lavoro senza dare prospettive di stabilità ai giovani e senza combattere l’enorme piaga del lavoro nero nel nostro Paese, anzi sembrando quasi “strizzare l’occhio” agli imprenditori che vi ricorrono e agli evasori fiscali. Errori imperdonabili, questi sì da «sciopero, sciopero, ge-ne-ra-le!».

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