L’aria viziata che respiriamo
giovedì 30 novembre 2023

Resta ancora (almeno) una cosa da dire, tra le tante che, da più punti di vista, hanno messo a fuoco la tragica vicenda di Giulia, 22 anni, vittima come tante, troppe altre, di un “amore tossico”, un po’ la formula di tutti i femminicidi, se non fosse che costa fatica parlare di amore e subito dopo stroncarlo con un tale aggettivo.

Occorre forse parlare dell’aria viziata che si respira in giro. Di una sorta di inquinamento che, da qualche tempo, è qualcosa in più delle polveri sottili che ormai respiriamo senza neppure avvertirle, come un danno collaterale ai disagi della quotidianità. Da qualche tempo non è più così, il clima si è fatto estremamente più pesante. Il cielo è diventato di piombo, solo che stavolta la metafora non c’entra.

Siamo inesorabilmente sotto una cappa di violenza e di odio, di vendette e di rancori. Due guerre, una nel cuore dell’Europa, l’altra in Terra santa, alimentano la tetra nuvolaglia che aleggia sulle nostre teste. Una vera e propria nube tossica, miscuglio di veleni che restano in sospensione, in attesa - ma non sempre avviene - che una folata di vento li spazzi via. Un grumo che perfora i polmoni. Ma entra e insidia anche la mente e il cuore. Forse c’entra anche questo in un delitto che, per la sua efferatezza, per qualche giorno, ha scalzato proprio le guerre - la prima già messa un po’ disparte in Ucraina, e l’altra appena esplosa in Medioriente - nella rigida gerarchia imposta dall’attualità.

Certo la violenza sa trovare da sola le strade, e il feroce accanimento contro le donne è una piaga intollerabile e basta, di fronte alla quale l’unica speranza è che Giulia possa chiudere finalmente la lista. La violenza si dice - ed è così- è cieca, e in guerra più che mai, perché è da lì che il suo triste eco, insieme a quello dell’odio, del rancore e della vendetta - la violenza che chiama violenza - si diffonde senza sosta e arriva e si spande dappertutto. Non basta il richiamo ad armare le mani, ma come una sirena d’allarme questa voce porta l’inconfondibile messaggio di una vita sempre più assediata e presa di mira come oggetto senza valore.

Ogni guerra propugna di per sé l’osceno insegnamento della vita come valore a perdere. Sui campi di battaglia a contare sono i numeri delle morti. E le morti sono tante, come ora in Ucraina e in Medioriente, al punto che anche la vita è presa nella ragnatela delle cose di poco conto, instabile e precaria, amputata di prospettive, affidata alla ventura sui tanti campi di battaglia che sorgono e l’accerchiano intorno. Quasi non esiste più zona franca, perché la guerra come sa espandersi fuori dai terreni di scontro, riversando la sua furia sui civili, sa anche uccidere senza utilizzare le sue armi convenzionali. Intossica, riempie e grava l’aria dei suoi umori malsani, è come una cellula impazzita che devasta un corpo già malato.

Di un altro flagello, come la pandemia, continuiamo ad elencare i danni provocati sulla condizione generale, e ci accorgiamo di cicatrici per le quali non contano i vaccini. Il Covid ha lasciato tracce, anche oltre la tragedia dei lutti.

E la guerra? Le guerre? Come non pensare alla terribile sequenza che al nostro tempo è toccato vivere, stretti nell’incudine tra queste due tremende avversità? Sarebbe certo puerile tradurre in una sia pur minima giustificazione, questo fardello calato all’improvviso e tutt’insieme sulle spalle di tutti. Ma la guerra, le guerre agiscono sempre più come micidiali agenti inquinanti della nostra esistenza. Senza sparare un colpo, scuotono e devastano anche a distanza, accecano di paura la speranza, annebbiano le menti, storpiano i sentimenti e perfino le passioni. Sono le ali di piombo che ci inchiodano a terra per non farci rialzare.

C’è forse qualche maledetta tossina di queste a inquinare quelle che il Papa ha indicato come le “relazioni sane” che vengono “dall’educazione al rispetto e alla cura”, proprio il verso opposto alla follia della mattanza di donne. La vita che vale poco sui campi di battaglia vale ancor meno laddove può far pensare alla pace. Alla pace, questa è la condanna non scritta, non occorre dare spazio. Le sue vie portano infatti lontano dalla deriva che ogni conflitto lascia sul campo: nient’altro che macerie che solo un clima di pace riesce a bonificare. È il messaggio estremo che viene dalla guerra, matrigna crudele di tutte le violenze. Non può tirarsi fuori, c’entra lei, nel modo infido che le è proprio, anche nella vicenda della povera Giulia.

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