Premio Nansen ai corridoi umanitari
giovedì 19 settembre 2019

Il premio Nansen assegnato ieri dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati per l’Europa ai "corridoi umanitari" italiani lancia un messaggio importante. All’Italia e a tutta l’Unione. Il prestigioso riconoscimento umanitario, istituito 65 anni fa, prende il nome da Fridtjof Nansen, esploratore polare norvegese, primo Alto Commissario per i rifugiati per la Società delle Nazioni e vincitore del Nobel per la pace nel 1922 per il suo coraggioso e infaticabile lavoro in favore dei profughi della Grande Guerra. Anche quest’anno è stato premiato un lavoro infaticabile e coraggioso perché ha osato andare davvero controcorrente in nome dell’amore per l’umanità.

Anzitutto, il Premio Nansen esalta la bontà del progetto varato nel 2015 da Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Tavola Valdese, Comunità di Sant’Egidio per i profughi siriani in Libano e Giordania e successivamente anche da Cei e Caritas italiana per i profughi provenienti dall’Etiopia, dalla Giordania e dal Niger. I "corridoi" sono diventati negli anni un’eccellenza italiana e un modello. Hanno permesso l’ingresso per vie legali e sicure sul suolo italiano di 2.600 persone vulnerabili come donne sole con bambini, famiglie con malati, perseguitati politici (la cui vita era in grave pericolo anche nei campi profughi) perlopiù di origine siriana, eritrea e somala. Così hanno prevenuto viaggi spesso mortali sulle rotte migratorie e dimostrato che sono possibili alternative al traffico di esseri umani. Sono anche un’eccellenza ecumenica grazie all’opera e alla collaborazione tra le Chiese cristiane.

Una eccellenza che si muove su un piano ancora "simbolico" dati i piccoli numeri, certo, ma estremamente significativa in questo momento storico. Mentre in Europa di fronte alla tragedia dei profughi in fuga dal conflitto siriano e poi dai lager libici molte coscienze si sono progressivamente addormentate, impaurite dalla violenta propaganda mediatica e social di odio e xenofobia, le Chiese cristiane sono rimaste fedeli al Vangelo della Carità muovendosi con genio e coraggio, stringendo accordi per i visti con il Governo italiano a costo zero, finanziando con i fondi dell’otto per mille i viaggi e 12 mesi di permanenza. È stato ideato e messo in pratica, così, uno strumento semplice e geniale che collabora con le istituzioni e mette d’accordo politici di ogni colore. I "corridoi umanitari" sono partiti infatti dopo la firma di protocolli con Viminale e Farnesina quando i ministri erano di centrosinistra e sono stati rinnovati dall’esecutivo gialloverde. E, grazie a intese analoghe, sono stati sinora "esportati" in Francia, nella piccola Andorra e in Belgio.

Il riconoscimento onusiano è una sottolineatura del ruolo insostituibile della vituperata società civile organizzata nelle democrazie di stampo europeo. Senza la mobilitazione di numerose diocesi, parrocchie, comunità e associazioni come la Comunità Papa Giovanni XXIII e l’Ong Gandhi, le fasi delicate e strategiche della selezione dei candidati e dell’accoglienza sui territori non sarebbero state possibili. Aderendo alla sfida dei 'corridoi' di combinare la salvezza della vita delle persone con la loro integrazione nelle comunità i corpi intermedi insultati senza tregua hanno aiutato centinaia di persone a riprendersi la vita.

Un cammino faticoso,ostacolato dalle barriere culturali e linguistiche e i traumi subiti da molte persone, torturate e abusate in patria come nelle galere dei trafficanti per estorcere riscatti ai famigliari. Ma che – ha aggiunto Carlotta Sami, portavoce dell’Acnur per il Sud Europa – ha dato un senso concreto alla parola 'diritti'. Ora arriva una sfida duplice. La prima è far conoscere i 'corridoi', partendo dal premio Nansen, alla nostra opinione pubblica che – come dimostrano autorevoli studi – ha la percezione più distorta del fenomeno migratorio in occidente, perché prenda coscienza di questa alternativa al traffico e alle odissee migratorie almeno per i perseguitati e le vittime di guerre.

L’altra è fare breccia nelle cancellerie europee perché 'copino' l’Italia e i pochissimi altri Paesi sinora coinvolti, allargando i canali umanitari fino a svuotare – assieme agli Stati afreicani più sensibili e a loro volta in parte già impegnati – i lager libici e i centri profughi dove sta appassendo una generazione.

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