La terra che trema sotto Napoli scuote l'inerzia dell'abitudine
sabato 25 maggio 2024

L’emergenza non sta più ai patti. Almeno per la terra che trema, Napoli aveva sottoscritto quasi un tacito accordo, scosse spalmate come si fa con un debito da pagare a piccole rate, contando sulla comprensione e il buon cuore di una natura che da queste parti ha dato, ma anche preso, molto. Stavolta lo sciame non ha lasciato l’abituale tracciato quasi piatto sui sismografi posti a guardia di un evento che, nel campo delle previsioni – 1.252 scosse solo ad aprile – è diventato ricorrente quasi come la nebbia in Val Padana.

L’impennata del pennino non è stata catastrofica, ma non è più passata inosservata. Quando la gente è stata spinta in strada da una scossa diversa e più forte di tutte le altre, replicata con quasi la stessa intensità mercoledì mattina, ha trovato già calcinacci caduti dai palazzi e accanto a essi, nella paura che potessero diventare cumuli, ha dovuto prendere atto di una vita e di un’emergenza che cambiava. Tendopoli, assembramento di auto nei luoghi più spaziosi all’aperto, lo schieramento di ambulanze e mezzi di pronto intervento, hanno subito composto accanto all’epicentro il quadro e lo scenario di un terremoto in corso. A Pozzuoli il nome è un altro, bradisismo, per un’origine vulcanica che ha finora rassicurato sulla limitata portata dei danni. In molti il terremoto dell’Ottanta è ancora vivo.

E non a caso proprio a quella devastante sciagura è andato il ricordo dopo la scossa di lunedì sera, mai così forte a distanza di 40 anni. Ciò che accade a Pozzuoli, e di fatto a Napoli, si può continuare a chiamare emergenza anche dopo che il boato fuori ordinanza delle 19.51 ha cambiato il corso delle cose. Sarà difficile, da quell’ora in poi, considerare “La terra trema a Pozzuoli” una frase fatta, che scivola via tra cronache ben più allarmanti. Improvvisamente l’area napoletana sembra aver aperto un capitolo nuovo, ma in realtà mai tanto vecchio. La prima a essere scossa dal più energico colpo tellurico è stata quella sorta di assuefazione vissuta in modo diverso da chi è dentro al cratere, e lì ha casa, lavoro, affetti, e chi dovrebbe invece badare al fenomeno nel senso di governarlo, per quel che è possibile, e provvedere a rendere più alti possibili i parametri di una normalità che nei dintorni di Napoli notoriamente è merce rara.

È troppo dire che l’emergenza-Pozzuoli, proprio ora che è venuta più drammaticamente alla luce, somiglia fin troppo – anzi, rischia di diventarne un simbolo – alle tante, troppe altre emergenze di Napoli? È azzardato spingersi ad affermare che quella forma di cinismo del “tirare a campare”, spacciata finanche per bonaria saggezza popolare, ha preso piede anche tra i fumi delle solfatare? Non si parla certo dell’aspetto scientifico, tenuto sotto controllo e studiato momento per momento da équipe di esperti di primissimo piano. Ma il disorientamento che provano oggi gli abitanti dell’area di fronte a sopralluoghi e verifiche richiesti e quasi mai effettuati, a informazioni che restano mute perché prive di un qualsiasi retroterra (a cominciare dai piani di evacuazione), ha certo una brutta storia alle spalle. La storia di troppe emergenze lasciate crescere, come se Napoli fosse incapace di farne a meno. Anche un terremoto a getto continuo, come quello delle solfatare, poteva forse rientrare nella casistica.

Senonché il sisma ha preso, all’improvviso, un altro verso: non più quello del fenomeno a sé ma del possibile dramma che riguarda persone. E si scopre così solo oggi, quando la paura ha preso il sopravvento, che erano non di poco conto anche i disagi e le difficoltà della vita quotidiana di chi è stato costretto, nel tempo ordinario, per anni, a convivere con una terra che continuava a tremare sotto i piedi. Si è pensato che preso a piccole dosi questo terremoto, alla fine, poteva pure rientrare tra i requisiti e le particolarità del territorio, addirittura una carta in più sul versante turistico. I conti però non tornano. Ci si accorge ora che è poca cosa la rassicurazione che viene proprio da quella frequenza: si tratta – è stato sempre ribadito – di sciami senza pericoli, di una forza che anzi si disperde e si diluisce nel territorio.

Niente da dire di fronte a una strategia anti-panico scientificamente fondata. Ma ora che è messa alla prova occorre forse riconsiderare un po' tutto. E tenere alla larga – come forse è avvenuto nel lungo tempo, dodici anni, di uno sciame considerato inoffensivo – il cattivo pensiero di far leva, proprio sul tirare a campare, la variante più nota di quell’arte di arrangiarsi (perfino di fronte alle avversità) che Napoli subisce da tempo, come una condanna senza appello. L’emergenza non sempre sta ai patti. Soprattutto quando è la terra a tremare.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: