Governo picconato, urgenze chiare
giovedì 14 gennaio 2021

La somma di errori e debolezze non fa mai una forza. La fa solo la somma di responsabilità. Accade nella vita come nella politica che, al pari, è fatta da uomini e donne in carne e ossa, con le loro aspirazioni e le loro personalità. C’è anche questo dietro la crisi di governo che Matteo Renzi, dopo oltre un mese di tira-e-molla ha aperto ieri di fatto, ma che non è iniziata ancora formalmente visto che Giuseppe Conte è sempre in carica. Crisi che, al di là dell’assurdità di capitare nel pieno di una catastrofe sanitaria globale e con l’epidemia di nuovo in espansione, in realtà è molto più difficile da accettare che da capire. Perché le differenze nella coalizione giallo-rossa ci sono e pesano anche se oggi meno, paradossalmente, che nell’estate del 2019 quando – artefice proprio Renzi – il governo Conte II prese vita. D’altronde, anche se la pandemia lo fa apparire come un’era fa, giova ricordare che già a gennaio 2020 questa coalizione aveva rischiato di andare in crisi (sulla prescrizione).

Sull’incerta base di partenza si è poi innestato anche un complesso gioco di personalità. A partire da Renzi che, propostosi e raccontato come iniziale Cupido dei 'giallo-rossi', si è rapidamente proposto come terzo incomodo in un accordo di coalizione sostanzialmente a due (M5s-Pd) che sentiva come un 'amore rubato'. Il leader di Italia Viva ha la capacità di indicare sovente i nodi giusti (anche quelli non visti da altri), ma nel modo sbagliato. È innegabile, però, che di errori ne ha commessi anche Conte, leader finito apparentemente per caso a Palazzo Chigi.

Ma capace di diventare il punto di equilibrio di due soluzioni politicamente opposte come quella giallo-verde e quella giallo-rossa. E il principale errore di Conte è stato probabilmente di non riuscire a fare da troppi mesi, come richiederebbe il ruolo di presidente del Consiglio, sintesi delle istanze di tutte le forze di maggioranza. A torto o a ragione lo si accusa di essersi rinchiuso a Palazzo Chigi in una sorta di 'stella magica' col suo staff (per similitudine col 'giglio magico' rinfacciato a Renzi) e di aver sorvolato sulle richieste politiche dei renziani, sino a banalizzarle come una 'richiesta di poltrone'.

Davanti a leader che in oltre 17 mesi di 'coabitazione' sono riusciti solo una volta - il 5 novembre scorso - a riunirsi tutti assieme, vien da chiedersi: quale visione comune, quale capacità di ascolto del Paese e almeno del pezzo di opinione pubblica rappresentato, quale strategia unitaria per lo straordinario Piano europeo che porterà all’Italia la possibilità di investire 222 miliardi possono coltivare persone che non riescono nemmeno a vedersi fra di loro. Il 'guaio' ormai è combinato.

Ragionando sui tre punti elencati ieri sera da Renzi – di metodo anti-democratico, di merito nell’azione di governo non solo per l’emergenza, di misure in senso stretto per la crisi pandemica e sociale – si può concludere che l’obiettivo è Conte. Dice, Renzi, che «non ci sono pregiudiziali » sul premier in carica , ma pure che ci sono altri nomi... E il capo del governo, dopo aver incautamente gettato benzina sul fuoco chiudendo le porte a Iv, ieri – compreso l’errore – ha cercato di rimediare. L’ulteriore aspetto paradossale è che ora tutti i leader in partita – Conte come Renzi, e insieme a loro il leader del Pd Nicola Zingaretti – hanno evocato l’esigenza di costruire ora un disegno coerente per un vero «patto di legislatura».

Dopo aver raccolto i cocci, sempre per paradosso resta aperta una chance per i veri 'costruttori'. E spetta a Conte fare oggi la prima mossa. C’è un quadro sbilenco e che minaccia di crollare, e ci sono – soprattutto – da suturare strappi e ferite con i cittadini che, oppressi dalla pandemia, vivono questi giorni con un senso di nausea. È questo il corto circuito che rischia di minare i fondamentali del nostro essere comunità. La saggezza del presidente Mattarella (lui, sì, vero Responsabile) dovrà accompagnare verso una soluzione sensata. Che stante l’indisponibilità del centrodestra, non potrà essere «istituzionale». Se, dunque, non ci sarà un’intesa politica degna di questo nome, resterebbe solo il ricorso alle elezioni anticipate, probabilmente non subito, ma comunque entro pochi mesi. Il passaggio è più che mai difficile. Ma, in ogni modo, qualcosa di più coeso può ancora nascere. E così dovrà essere.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI