Europa, rifugiati e calcoli elettorali
giovedì 25 luglio 2019

L’accoglienza dei rifugiati è una partita in cui l’Unione Europea e i Governi nazionali non si sono fatti molto onore. Discutibili, e infatti discussi, accordi con Turchia, Niger e Libia hanno delegato il lavoro sporco di contenimento degli arrivi ai Paesi di transito, i cui Governi non hanno dimostrato scrupoli nell’impiegare le maniere forti per bloccare le rotte di chiunque, anche dei profughi, e non solo – secondo la la retorica purtroppo dominante – dei «migranti illegali» o dei «trafficanti».

Fatta questa premessa, l’Europa non è una notte in cui tutti i gatti sono bigi. Alcuni Governi hanno mostrato più sensibilità di altri. Stando all’ultimo rapporto Acnur/Unhcr, la Germania ha accolto 1,1 milioni di rifugiati, più 300mila richiedenti asilo. Anche la Francia (459mila) e la Svezia (318mila) hanno concesso asilo a più persone dell’Italia (quasi 300mila). In proporzione alla popolazione, la Svezia accoglie 25 rifugiati ogni mille abitanti, l’Italia circa 5.

L’ingiusta ripartizione degli oneri di accoglienza fissata dalle convenzioni di Dublino (firmati all’origine da un nostro Governo di centrodestra) è conclamata e molte volte denunciata, ma la lamentela sull’«Italia lasciata sola» è stata nel passato e rimane tuttora una mezza verità. Quindi una mezza bugia, utile alla propaganda, non a negoziare accordi migliori. I flussi dal mare e dalla terra verso l’Europa, con le buone (poche) o con le cattive (troppe), si sono ormai molto ridotti: via mare nei primi sei mesi di quest’anno sono arrivate circa 36mila persone, perlopiù in Grecia e in Spagna.

Una smentita per quanti, da destra e da sinistra, avevano parlato di fenomeni epocali inarrestabili, di esodi biblici e altre immagini apocalittiche. Il grosso dei migranti sono vulnerabili, viaggiano in condizioni precarie, con pochi mezzi: sono facili da fermare per Governi (e sottogoverni) foraggiati, armati e senza scrupoli umanitari. In Libia e come in Niger è bastato poco per bloccarli quasi tutti.

In questo contesto decisamente meno ansiogeno degli scorsi anni dal punto di vista europeo, un gruppo di 14 Governi della Ue capeggiati da Francia e Germania ha trovato nei giorni scorsi una prima intesa a Parigi per ripartire i richiedenti asilo in diversi Paesi, pur ribadendo l’obbligo umanitario di accoglierli nei porti sicuri più vicini. Era quanto da tempo chiedeva l’Italia. Il nostro Governo però non c’era e non ha aderito alla pre-intesa.

Le motivazioni formali (l’incontro è stato indetto da Macron, non dalla presidenza finlandese di turno) e sostanziali (rifiuto di un ruolo da principale Paese di sbarco) appaiono fragili. In diplomazia non partecipare vuol dire non incidere. Negoziare significa cedere qualcosa per ottenere qualcos’altro. La volontà di partecipare sedendosi a un tavolo con i Paesi amici è sostanza. In realtà il ministro dell’Interno Salvini, seguito da un Governo purtroppo afasico su questi temi e sempre in vistoso scollamento su parecchi altri, non ha nessuna intenzione di arrivare a un accordo europeo sull’asilo.

Non cessano di spirare i venti di crisi e la prospettiva di un possibile ritorno alle urne è sempre aperta ed è chiaro che si considera molto più redditizio rinfocolare il nazionalismo, con la retorica dell’Italia non più succube della Ue, ribadire la politica disumana della «chiusura dei porti» (solo alle navi soccorso), additare le Ong e le reti solidarietà all’odio popolare e metterle al bando come fanno nel mondo i Governi dai bassi standard democratici.

Salvini, in realtà, ha tutto l’interesse a continuare ad agitare lo spettro dell’«invasione» da fermare, insieme a quello dell’«Europa matrigna», non a trovare soluzioni condivise con i Paesi a cui siamo legati. Non pochi elettori, per ora, gli danno credito, ma il prezzo cresce ogni giorno di più in termini di prestigio e di credibilità dell’Italia ai tavoli che contano . E presto sarà evidente che il vero e generale interesse dell’Italia e degli italiani non è l’obiettivo della (non) politica della sedia vuota.

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