mercoledì 8 gennaio 2020
Nozze e famiglia un "privilegio" di classe. E la sinistra americana oggi si interroga sull’importanza del legame coniugale come una risposta alle disuguaglianze
Una scena del film "Storia di un matrimonio" ("A marriage story", 2019), in realtà il racconto di un divorzio

Una scena del film "Storia di un matrimonio" ("A marriage story", 2019), in realtà il racconto di un divorzio

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Gli americani hanno meno figli che mai e il tasso di fecondità, in calo da quattro anni, comincia a preoccupare demografi ed economisti. Allo stesso tempo la classe media statunitense perde potere d’acquisto e la disuguaglianza sociale aumenta, nonostante la produttività sia alle stelle e la disoccupazione ai minimi storici. Un quadro sociale così complesso sta costringendo la sinistra Usa a rivedere gli strumenti che propone tradizionalmente ai propri elettori per cercare soluzioni ideologicamente non ortodosse. Come quella che sta emergendo con prepotenza in questi mesi nel dibattito liberal: e se una risposta ad alcuni dei problemi che affliggono la società americana fosse, semplicemente, il matrimonio?

Fino a una decina d’anni fa, sarebbe stata un’idea impensabile. Per quasi cinquant’anni il matrimonio è stato infatti una fonte di profondo conflitto culturale negli Stati Uniti. Dagli anni ’60, il Paese si è diviso sul valore delle unioni coniugali riconosciute dallo Stato secondo prevedibili linee destra/sinistra, con interpretazioni opposte del ruolo dell’istituzione nella formazione e la stabilità della famiglia, nell’uguaglianza razziale, nei diritti delle donne e nei valori di base della società. Ma la realtà è cambiata. Se negli anni Ottanta la divisione principale fra coppie sposate e non sposate era culturale ed ideologica, oggi sono le élite liberal (concetto che negli Stati Uniti corrisponde a una posizione di stampo socialdemocratico e al partito democratico), ben istruite, spesso laiche, a far rivivere la tradizionale famiglia con due genitori e un impegno comune a unire le forze per avere figli e investire nel loro futuro. I dati demografici sulla denatalità nascondono infatti particolari interessanti.

Le coppie americane hanno meno bambini, ma vorrebbero averne di più, tanto che il divario fra desiderio e realtà è al massimo degli ultimi 40 anni, ma solo per le donne non sposate. La fecondità tra le donne sposate è infatti aumentata. Analogamente, se quasi la metà della generazione dei millennial (dai 23 ai 38 anni circa) è sposata, un altro 22% sostiene che convolerebbe a nozze, se si trovasse «nelle condizioni per farlo ». Chi, allora, oggi, negli Stati Uniti si sposa e resta sposato? Il Pew Center, un think tank liberal, offre alcune risposte: oggi la probabilità di un primo matrimonio della durata di almeno 20 anni è del 78% per una donna laureata, del 49 per una donna con qualche anno di università e del 40% per una donna con un diploma di scuola superiore o meno. Negli anni ’80, al culmine della rivoluzione del divorzio, non vi era alcuna differenza nei tassi di divorzio per livello di istruzione. E mentre i tassi complessivi di matrimonio negli Usa in cinquant’anni sono scesi dal 72% al 51%, nel- l’America più ricca e istruita i legami coniugali rimangono forti, a circa il 76%. «Sempre più, il matrimonio sta diventando un indicatore del privilegio di classe in America. Se i progressisti vogliono affrontare il flagello della disuguaglianza, il calo dei matrimoni è un problema che non possono ignorare», spiega Will Marshall, presidente del Progressive Policy Institute.

In effetti, confrontando i periodi dal 1989 98 al 2010-2016, la banca centrale Usa, la Federal reserve, ha riscontrato un calo di 2,2 punti percentuali nei tassi di matrimonio per i bianchi senza titolo di studio superiore: la stessa classe che è rimasta storicamente immune all’appello della sinistra culturale e della rivoluzione sessuale. Intanto gli economisti Robert Lerman e Bradford Wilcox quantificano i benefici concreti del matrimonio, stimando che il reddito medio delle famiglie con bambini sarebbe più alto del 44% oggi se gli americani si sposassero allo stesso ritmo del 1980. Per la sinistra, è un vero campanello d’allarme: «La disuguaglianza oggi deriva dall’intricata interazione di cambiamenti economici e culturali, e non sarà annullata semplicemente ridistribuendo la ricchezza dalle famiglie benestanti a quelle di basso reddito. L’alto tasso di matrimoni nell’America della classe medio-alta rende chiaramente evidente il legame tra la struttura familiare e il benessere», continua Marshall.

La sinistra vuole dunque invertire la tendenza. «I liberal hanno cominciato a identificare il matrimonio come una soluzione alla disuguaglianza – scriveva di recente sul New York Times l’opinionista progressista Tom Edsall –. Accanto ad azioni come aumentare il salario minimo, rafforzare i sindacati e tassare i ricchi per pagare nuovi benefici sociali per le famiglie con mezzi modesti, i progressisti parlano con sempre maggior frequenza del matrimonio, che non è più visto come una sgradita distrazione dalle questioni di potere economico. Molti, se non la maggior parte, dei liberal sono profondamente turbati dalla disfunzione familiare. E gli studiosi di sinistra ora riconoscono che la rivoluzione ses- suale e il movimento dell’autonomia personale hanno avuto costi significativi, e non solo guadagni».

Tali conseguenze negative includono l’esplosione del divorzio, l’assenza paterna e le crescenti legioni di bambini cresciute in famiglie monoparentali. Per capire quanto il dibattito sia cambiato, basta pensare che nel 2002 Sara McLanahan, docente di sociologia a Princeton, nel saggio 'Vita senza padre' scrisse che: «I bambini cresciuti da un solo genitore sono svantaggiati. Hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola, meno probabilità di frequentare l’università e di laurearsi rispetto ai bambini cresciuti da entrambi i genitori biologici. Le ragazze di famiglie senza padre hanno maggiori probabilità di diventare sessualmente attive in giovane età e di avere un figlio al di fuori del matrimonio. I ragazzi senza padre hanno maggiori probabilità di avere difficoltà a trovare (e mantenere) un lavoro ». All’epoca la sinistra attaccò il documento come ideologicamente motivato. Oggi lo usa come avvertimento a non sottovalutare l’importanza del legame coniugale.

«Il calo dei tassi di matrimonio è preoccupante – affermano Isabel Sawhill e Joanna Venator del gruppo progressista Brookings Institution –. È vero che un alto numero di bambini viene allevato da coppie conviventi, ma negli Stati Uniti queste relazioni tendono ad essere instabili e di breve durata». Tre intellettuali di sinistra si sono spinti fino a pubblicare un 'Manifesto pro matrimonio' sulla rivista Washington Monthly. David Blankenhorn, William Galston e Jonathan Rauch vi scrivono che, per la nazione nel suo insieme, il matrimonio è fondamentale. «Crea famiglia e rafforza i legami sociali. È un’istituzione che produce ricchezza. Il matrimonio funziona chiaramente come fonte di felicità e benefici per i bambini». Senza matrimonio, continuano, la vita familiare è «più fratturata e difficile, con più insicurezza economica, meno mobilità sociale, più stress infantile e un logoramento della nostra cultura comune». Sono parole sorprendenti, che aprono orizzonti inattesi. È possibile che in un periodo in cui i due principali partiti americani, democratico e repubblicano, sono politicamente sempre più agli antipodi, un impegno comune verso misure favorevoli al matrimonio possa creare una rara opportunità di collaborazione?

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