mercoledì 4 aprile 2012
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​La bufera giudiziaria che ha investito la Lega Nord, comunque si sviluppi nei prossimi giorni, è un nuovo drammatico campanello d’allarme che squilla sullo stato di salute dei partiti italiani. Il richiamo ai princìpi del garantismo, per quanto ci riguarda non assimilabile a una formula rituale, comporta anche in questo caso, come in tutti quelli precedenti, il dovere di non trarre conclusioni affrettate sul terreno delle responsabilità penali, personali o collettive che siano. Anche se impressiona, a vent’anni dalla scoperta di Tangentopoli che segnò l’ascesa imperiosa del Carroccio e dei suoi grintosi agitatori di "cappi", lo spettacolo del gotha lumbard rinchiuso per ore nel bunker di via Bellerio, da qualcuno ieri assimilato a un novello "Hotel Raphael".Nondimeno, gli interrogativi che fin d’ora, e ancora una volta, si sollevano sul meccanismo del finanziamento pubblico della politica, sulle sue porosità e sulle sue zone d’ombra, dovrebbero indurre l’intera nostra classe dirigente a un esame di coscienza tanto severo quanto rapido.Da centoventi giorni il governo Monti ha inaugurato una sorta di "moratoria" della fisiologia democratica, imperniata sul confronto tra le rappresentanze parlamentari uscite dalle urne, che normalmente dovrebbe dar vita all’alternarsi di maggioranze legittimate a guidare il Paese. Non c’è bisogno qui di richiamare le ragioni di tale sospensione. Ma è utile ricordare, tanto più alla luce delle vicende emerse ieri, che, per giudizio pressoché unanime di quanti hanno accettato di sostenere l’esecutivo dell’ex presidente dell’Università Bocconi, questa fase dovrebbe servire, oltre che a risanare in modo stabile i conti pubblici e a rilanciare l’economia, a produrre una profonda opera riformatrice: nelle istituzioni, nei meccanismi elettorali e nel modo di essere e di proporsi dei partiti stessi. Quei partiti che la nostra Costituzione nobilita come protagonisti della politica nazionale, purché agiscano «con metodo democratico» (articolo 49).Alla fine della legislatura manca ormai una decina di mesi effettivi e, nei giorni scorsi, si è affacciato un primo segnale concreto sull’intenzione di passare dalle parole a qualche fatto. Una bozza di modifica di alcune importanti norme costituzionali e, sia pure in maniera più sfumata, del sistema elettorale, è stata messa a punto e, in queste ore, è al vaglio degli esperti per la trasformazione in progetti di legge. Il tempo, per altro, stringe ed è forte il rischio, ancora una volta, di lavorare per gli archivi.Nulla invece si vede ancora all’orizzonte sul terreno della vita interna ai partiti, sui metodi di selezione dei loro vertici, sulla trasparenza della gestione economica. Soprattutto, manca del tutto una seria riflessione sull’annosa questione del finanziamento pubblico: un sistema creato in piena Prima Repubblica con la legge Piccoli del 1974, bocciato dal 90 per cento degli elettori con il referendum del 1993, rimesso in piedi quasi a tempo di record pochi mesi dopo, grazie alla formula dei rimborsi elettorali, poi più volte ritoccata e dilatata (nonché finanziariamente integrata). Nel complesso, tra il 1994 e il 2008, un fiume di denaro – oltre 2 miliardi e 250 milioni di euro – è entrato nelle casse dei partiti, dando ciclicamente vita a scontri intestini e a devastanti "casi" giudiziari.Ecco allora il punto. Se è vero – e tutti i sondaggi lo attestano – che oggi la fiducia degli italiani nei partiti è scesa a livelli infimi, mai toccati in passato, è ancora più vero che siamo alla prova del nove: la restituzione di onore e ruolo pieno alla politica e ai politici potrà venire solo da una svolta sostanziale nei comportamenti dei partiti (e di uomini e donne di partito), dentro e fuori le istituzioni. Che cosa potrà altrimenti convincere milioni di elettori scoraggiati e furiosi a tornare ai seggi? Certo non basteranno nuovi "cappi", magari di segno politico o geografico opposto, tristemente agitati nelle aule parlamentari.
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