Sul web vedi e rivedi la signora Lyudmila, 69 anni, madre di Aleksei Navalny. Una donna anziana, robusta, vestita di nero, il fazzoletto sulla testa come una contadina, gli occhiali scuri. Tutta in nero sul fondo candido dell’Artide. È da venerdì scorso che, appresa la morte del figlio, è partita per la colonia penale IK-3, al Circolo polare, dove Navalny è stato dichiarato morto. Chissà con quali mezzi ha viaggiato, nella neve, in latitudini da 40 sottozero. Chissà com’è, schiacciata dal dolore, nell’ orizzonte color ghiaccio, andare a cercare ciò che resta di un figlio.
Al carcere di Kharp, però, le hanno detto che si era sbagliata: la salma di Aleksei si trovava all’obitorio di Salekhard, a 53 chilometri. Altra odissea per questa madre quasi settantenne. Ma, all’obitorio, nessuno nemmeno risponde al citofono. Il corpo di Aleksei, le dicono infine, non è lì. Comunque, porte sbarrate. E poi, viene comunicato da Mosca, occorre fare tutte le analisi. Tredici giorni ci vogliono, almeno.
Lyudmila, coriacea al freddo e alla stanchezza, è tornata alla colonia penale IK-3 - un nome che fa venire in mente le pagine di Solzenycin. Dobbiamo tornare a leggere Solzenycin. Dietro la neve abbagliante, oltre al cancello, ci sono solo fila minacciose di cavalli di frisia.
Senza scomporsi, senza gridare né piangere, la signora Lyudmila si rivolge a Vladimir Putin: «Per il quinto giorno non vedo mio figlio, non mi danno il corpo e non mi dicono nemmeno dove si trova. Mi faccia finalmente vedere mio figlio. Chiedo che il corpo di mio figlio venga immediatamente consegnato, in modo che io possa seppellirlo umanamente». Continua a nevicare sul capo della madre, mentre il video finisce.
In tutto il mondo si susseguono manifestazioni di protesta per la fine del dissidente Navalny. Ma questa vecchia, sola davanti a un lager, nella neve, che rivolge pacata la sua preghiera all’uomo più potente della Russia, è un’immagine così antica. È Antigone ancora, che chiede al re Creonte il corpo del fratello Polinice, considerato un traditore, cui si vuole negare la sepoltura. La sorella non tollera che quel corpo caro sia lasciato in pasto ai corvi, il corpo del bambino con cui un tempo giocava. Antigone pretende che le diano quelle membra care, e disobbedisce alla legge del re – alla legge del Potere. Quella di Antigone è una legge anteriore, scritta dentro agli uomini, una pietas che è in noi, prima di ogni altra ragione. «Non pensavo che i tuoi editti avessero tanta forza, che un mortale potesse trasgredire le leggi non scritte e incrollabili degli deì», dice a Creonte la giovane donna, che della sua sfida morirà.
Lyudmila è vecchia, e non fiera come immaginiamo l’Antigone di Sofocle; è piegata dagli anni e dal dolore. Ma se ne sta, ostinata come una roccia, là davanti alla colonia penale Ik-3, a ripetere al Creonte dell’anno 2024, semplicemente: «Ridammi mio figlio». (Ridammelo, perché possa almeno abbracciarlo, accarezzare il suo volto, prenderne commiato. È nato da me, lo sento ancora che scalcia nel ventre, e poi che succhia al seno, affamato. Lascia che lo seppellisca sotto a una croce, dove tornare a piangerlo. Gli uomini e le donne hanno bisogno di una tomba, di un ultimo ventre cui tornare).
Tredici giorni, hanno detto dal Cremlino - giusto il tempo perché le tracce di certi veleni svaniscano. Perché si possa dire: morte naturale. Putin mostra senza pudore la sua arroganza. Ma quella madre in nero sotto la neve, non la si dimentica. Ci ricorda qualcosa, magari oscuramente: una legge anteriore alle nostre, un umano imperativo di pietà per ciascuno: nemico, prigioniero, vinto. La preghiera di Lyudmila scava, come una goccia la roccia. Nel caos che si va allargando nel mondo ci ricorda ciò che siamo, da sempre. Da prima di ogni legge, da prima di ogni impero.