La pace, la sua cornice, i calcoli
mercoledì 13 giugno 2018

Sembra un sogno, e come ha ammesso lo stesso Kim Jong-un pochi minuti dopo la storica stretta di mano con Donald Trump, «molti crederanno che quel che vedono è fantascienza». Invece, se pure per quell’attimo ingannevolmente eterno che la storia concede a simili eventi, è tutto vero. Vero dopo settant’anni di inimicizie, di una nazione lacerata da un armistizio senza vincitori né vinti e infine un anno di roventi minacce reciproche fra il "Rocket Man" nordcoreano e il pokerista americano, e improvvisamente – o quasi – ecco che si stringono la mano il bizzarro erede di una dinastia autocratica e dittatoriale capace di eliminare senza pietà parenti e avversari interni e l’ex affarista e outsider che alla diplomazia del Dipartimento di Stato preferisce l’azzardo del giocatore, mettendo fine, come ha detto il presidente della Corea del Sud Moon Jae-in, all’ultima eredità della Guerra Fredda.

Non erano in molti a crederci. Non il consigliere per la Sicurezza nazionale americana John Bolton e nemmeno i tanti, tantissimi analisti internazionali, pronti a cogliere la minima crepa nell’ultima delicatissima strettoia che ha preceduto il vertice. Eppure, a dispetto, delle buone regole del grande gioco internazionale, per entrambi i leader il "summit di Singapore" si è tradotto in un impensabile successo di immagine. Immagine soltanto, per ora: perché la denuclearizzazione concordata fra un sorriso e un abbraccio è di là da venire, perché le insidie e le trappole che saranno fatalmente disseminate su questa road map sono molteplici e perché – come ha insinuato non senza un’ombra di malizia il viceministro degli Esteri russo Sergeij Ryabkov – il diavolo si nasconde nei dettagli.

Il tempo dirà se l’«accordo di Sentosa» – l’isola-fortezza a ridosso di Singapore dapprima covo di pirati, poi tragico mattatoio in cui gli invasori giapponesi giustiziavano i loro prigionieri (ma la storia si prende spesso simili beffarde licenze) – reggerà oppure no. Se cioè sarà, come dice il segretario generale dell’Onu António Guterres, un’importante pietra miliare nella rotta verso una pace sostenibile o se viceversa sarà soltanto l’illusione di un momento. In fondo, per ben due volte, nel 1994 e nel 2005, la Corea del Nord aveva formulato promesse analoghe senza che poi fossero state minimamente mantenute. Lo smantellamento stesso del sito di Punggye-ri non è di per sé significativo: Pyongyang dispone di almeno una sessantina di testate nucleari e di sufficiente tecnologia per armare un certo numero di missili balistici (la memoria dei quali, mentre sorvolavano i cieli giapponesi, è tuttora vivissima). Ci vorrà tempo, tenacia e molta buona volontà. E soprattutto nervi saldi, da entrambe le parti.

Di sfuggita – ma neanche troppo – vien da notare due cose. La prima: l’asse degli interessi di Washington si è teatralmente spostato sul Pacifico; è in questo vasto quadrante che si va concentrando ormai la politica estera (e commerciale) americana ed è qui, soprattutto nel rapporto con Pechino, che Trump sta giocando le sue carte migliori, e il summit con la Corea del Nord s’inquadra perfettamente in questa strategia, che in altre tempi si sarebbe detta "di contenimento". Non è un caso che il G7 canadese sia virtualmente fallito, come non è un caso che Trump lo abbia abbandonato frettolosamente, premuroso di raggiungere Singapore per tempo.

Seconda considerazione: non stupiamoci troppo se un domani a fronte di un G8 che saluterà il ritorno di Putin fra i grandi sarà in realtà un G3 costituito da Stati Uniti, Cina e Russia a dettare le regole. Tutte e tre le superpotenze sono guidate da uomini forti che pongono (se li pongono...) i diritti umani fondamentali all’ultimo posto tra le loro priorità. Uomini forti fra i quali – a parere di Trump – «è molto più facile intendersi che con la vecchia, complicata e litigiosa Europa». Lo pensava cinquant’anni fa anche Henry Kissinger, ma all’epoca il mondo rischiava molto meno rispetto a oggi. Il sogno visto dal Vecchio Continente, proprio come dal Sud del mondo, può diventare un incubo.

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