domenica 29 ottobre 2023
Si raccoglie la diffusa convinzione che la vita cristiana non sia “spirituale”. Bisogna interrogarsi sulla qualità delle esperienze proposte dalle nostre comunità
La nuova spiritualità? È un viaggio alla ricerca di sé

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Si raggiunge Dio non per la fede di chi ha creduto ma con percorsi personali Si raccoglie la diffusa convinzione che la vita cristiana non sia “spirituale” Bisogna interrogarsi sulla qualità delle esperienze proposte dalle nostre comunità Ogni domenica Paola Bignardi ci sta conducendo ad avvicinare un mondo giovanile più chiacchierato che conosciuto, a partire dalla convinzione che occorra abbandonare gli stereotipi con cui abitualmente si guarda e si giudica una generazione piena di risorse, che si sente lasciata ai margini, impossibilitata a offrire al mondo in cui si affaccia il proprio originale apporto. Gli articoli si avvalgono delle indagini dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e del lungo ascolto che i suoi ricercatori fanno di decine di adolescenti e giovani con interviste individuali, focus group, rilevazioni statistiche. La ricerca cui si fa particolare riferimento è quella in corso di pubblicazione e dedicata ai giovani che si sono allontanati dalla Chiesa, in un ideale confronto con coloro che sono rimasti. È frutto di un attento ascolto, ed è, anche per il lettore, un invito a fare altrettanto. Le altre puntate su Avvenire.it.


In un recente volume il teologo e filosofo ceco Thomas Halik scrive: «La sfida principale per il cristianesimo di oggi è il cambiamento di rotta dalla religione alla spiritualità. Mentre le forme istituzionali della religione tradizionale ricordano sotto molti aspetti l’alveo di un fiume quasi in secca, l’interesse per la spiritualità di ogni tipo sembra una piena in precipitosa crescita che sfonda i vecchi argini e scava nuovi percorsi » ( Pomeriggio del cristianesimo, Vita e Pensiero, Milano 2022, p. 191). Il risveglio della domanda di spiritualità sarebbe frutto di una trasformazione di un’esperienza religiosa che non risponde più alle esigenze delle persone di oggi. Le considerazioni che lo scrittore aggiunge, analizzando le manifestazioni di una nuova domanda di spiritualità, combaciano per molti aspetti con ciò che dicono i giovani intervistati nella ricerca in atto da parte dell’Osservatorio Giovani Toniolo su quanti si sono allontanati dalla Chiesa e/o anche dalla fede. La coincidenza di accenti e sensibilità è veramente sorprendente. Le affermazioni dei giovani sono dunque testimonianze molto utili per capire che cosa si sta muovendo nel mondo interiore delle persone del nostro tempo.

Spiritualità è...

Nella molteplicità delle immagini con cui i giovani rappresentano la loro idea di spiritualità, colpisce il duplice carattere di esse. Una serie ha un carattere dinamico: spiritualità è viaggio, salita, strada. Il viaggiare è vissuto come un’esperienza interiore: «Viaggiare... io penso che viaggiare potrebbe significare qualcosa di interiore nel senso... viaggiare dentro sé stessi per scoprirsi... quindi scoprire la felicità!». Un viaggio impegnativo, per vedere oltre e conoscere l’invisibile, alla ricerca di ciò che trascende la propria persona e la propria esperienza. Spiritualità come ricerca, dentro di sé, in cerca di sé stessi e del proprio io più profondo, dei propri desideri più riposti. La spiritualità, afferma una ragazza, «a me fa pensare a una ricerca tanto interiore quanto esteriore, nel senso di “sguardo introspettivo” per cercare di capire innanzi tutto me stessa e in secondo luogo anche il mondo che mi sta intorno; cercare di dare un senso all’universo forse è lo scopo ultimo dell’essere umano». È l’indice di un’inquietudine che rimanda oltre sé di continuo. Spiritualità è un infinito viaggio interiore.

In questo percorso la natura ha un posto molto importante: « Io ho la fortuna di essere circondata dalla bellezza – afferma questa giovane –. Mi capita a volte, quando sono un po’ più triste, oppure ho bisogno di pensare... vado a guardare il mare e ammiro la bellezza, la contemplo... per potermi tirare su». La natura ha una funzione rasserenante. Permette di dimenticare ciò che costituisce inquietudine e turbamento, permette di star bene. Qualcuno, riandando con la memoria a qualche esperienza in cui ha sentito un forte coinvolgimento interiore, cita un momento di preghiera sotto le stelle, la solitudine e il silenzio della notte che gli hanno fatto percepire la presenza di Dio. Spiritualità è anche bisogno di stabilità, rappresentata con l’immagine del centro, di un porto sicuro, di equilibrio; è avere radici, a indicare un bisogno di solidità, di un riferimento certo. Si potrebbe dire che i giovani interpretano la loro vita come un viaggio alla ricerca di un “dove” piantare le proprie radici; è domanda di stabilità, ma di una stabilità capace di integrare una componente di provvisorietà, di ulteriorità. Una saldezza inquieta, una ricerca di armonia e benessere, tensione verso una felicità soggettiva, identificata con uno stato interiore che tiene in armonia corpo, psiche, spiritualità, religione. Viaggio e radici: è un paradosso. Ma è un paradosso cristiano. La spiritualità dunque, nella concezione che i giovani ne hanno, porta verso sé stessi, verso la propria interiorità, in un ricerca di benessere e di armonia interiore. Ed è percepita come esperienza molto diversa da quella religiosa, che invece porta verso Dio, altro da me, anzi, talvolta percepito come una presenza minacciosa, giudicante, garante di quelle regole che i giovani percepiscono come mortificanti del loro desiderio di vita e di libertà.

Fede-spiritualità o spiritualità-fede?

La spiritualità è una possibile via a Dio. Dalle testimonianze dei giovani emerge che è possibile una spiritualità senza Dio: come ricerca di sé, che può raggiungere grandi profondità. Non è esente dal rischio del narcisismo e del ripiegamento, ma apre a grandi possibilità di interpretazione dell’umano e di esplorazione di esso con una sensibilità contemporanea. E se un tempo non ancora concluso molte persone hanno vissuto e vivono un percorso che va da Dio alla spiritualità, come espressione del proprio modo personale di vivere il rapporto con Dio, oggi mi pare che il percorso abbia invertito direzione: dalla spiritualità a – forse – Dio. Non si arriva a Dio per la via di ciò che si è ricevuto dalla fede di chi ha creduto, ma per lo più vi si giunge per un’esplorazione personale che si compie dentro il proprio mondo interiore. Oggi i giovani che si accostano alla fede anche attraverso l’inquietudine di percorsi personali che non hanno nulla di scontato, pensano che la dimensione religiosa della vita sia interiore e sentono l’aspetto istituzionale della fede come un inciampo che può avere anche l’esito di un rifiuto di tutto. Da qui potranno scaturire percorsi di incontro con Dio originali, forse anche stravaganti, lontani da quelli canonici riconosciuti nell’ambito ecclesiale, ma personali e vivi. La condizione di incredulità, vera o presunta che sia, suscita domande, rende più acuti gli interrogativi in un’esperienza interiore spesso sofferta. Si direbbe che anche questo prevalere della spiritualità, così intesa, sia uno dei frutti di quel cambiamento antropologico in atto, che porta le persone e soprattutto i giovani a dare una valutazione importante, quando non anche esasperata, del proprio Sé, in una sorta di soggettivismo spiritualistico e narcisistico che può chiudere dentro di sé.

L’esperienza cristiana

I giovani intervistati nell’ambito della ricerca citata sopra sono pressoché unanimi nel ritenere che la vita cristiana non è spirituale. È per questo che hanno deciso di rivolgersi ad altre esperienze, per trovare luoghi e contesti in cui la loro domanda potesse essere soddisfatta. Da queste affermazioni si rimane molto colpiti: com’è possibile non cogliere il potenziale spirituale della vita cristiana? Certo occorre interrogarsi su che cosa i giovani stanno cercando, ma anche fare un esame di coscienza sulla qualità spirituale delle esperienze che vengono vissute e proposte dalle comunità cristiane: forse il loro attivismo impedisce di cogliere un’anima che, se resta troppo implicita, non riesce a rivelarsi. Bisogna anche dire che l’atteggiamento degli ambienti cristiani nei confronti del risveglio di spiritualità degli ultimi decenni ha contribuito a diversi allontanamenti. Vi sono scritti che risalgono ad alcuni anni fa nei quali già si prendeva atto di un risveglio di spiritualità estraneo alle modalità tradizionali e si valutavano le manifestazioni di nuovi percorsi spirituali con severità di giudizio, senza interrogarsi sulla domanda che in essi si esprimeva e si esprime; senza pensare che la crescente domanda dello spirituale racconta dell’uomo e della donna contemporanei, del loro anelito insopprimibile verso la pienezza di vita, la loro apertura a un di più, al senso profondo delle cose e la loro disponibilità a camminare e cercare. Vi sono poi luoghi di una spiritualità tradizionale che costituiscono una sorpresa.

Un giovane non credente, capitato per caso in un monastero al momento della preghiera, alla quale ha deciso di partecipare, al termine di essa ha ringraziato perché quel momento gli aveva permesso di fare un’esperienza di profondo silenzio. Quando la preghiera è oggetto di una cura particolare, ed è collocata in un contesto in cui la spiritualità attraversa la vita in tutti i suoi aspetti, allora essa sprigiona una carica interiore che coinvolge anche chi si sente lontano dalla fede. I giovani, con la loro inquieta ricerca spirituale, ci offrono una chiave di ingresso nel loro mondo interiore: siamo disponibili a entrarvi? Siamo disponibili a entrare in dialogo con la loro sensibilità, che potrebbe contribuire a ridare anima a modi di vivere la vita cristiana troppo spenti e abitudinari? E poi occorre che ci chiediamo, come educatori e come comunità cristiane, se siamo disposti a fare con loro un cammino che li accompagni ad ampliare l’orizzonte, e permettere loro di intravedere, al di là dei confini angusti del loro io, l’altro/Altro che abita l’infinito.

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