giovedì 17 dicembre 2015
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Ne sono state dette tante in questi giorni dopo il salvataggio delle quattro banche italiane. Ma la narrativa a senso unico dei poveri risparmiatori ingannati dai bancari fraudolenti, lo scaricare solo sugli altri le colpe di ciò che accade (sport per eccellenza degli italiani malati di qualunquismo) non convince del tutto e non ci aiuta più di tanto a evitare in futuro altre crisi e altre storie personali dolorose. La fotografia di questa crisi, messa vicino a quelle delle crisi precedenti, ci deve ricordare che esistono diversi tipi di banca e ognuno ha i suoi punti di forza e i suoi punti di debolezza. La reazione meno lungimirante e giustificata, dal punto di vista delle conoscenze scientifiche in materia e della tutela della biodiversità, è prendersela con un modello di banca in particolare. Anche perché in questa crisi che coinvolge tre spa e una popolare c’è una “par condicio” che sembra rispettare il peso delle quote dei due diversi modelli nel nostro panorama bancario.Abbiamo vissuto negli ultimi decenni in Italia e nel mondo crisi di piccole e di grandi banche, di banche spa, popolari e cooperative. Al di là del modello e della forma di governance, esistono nel mondo banche ben gestite e mal gestite e conosciamo per fortuna i difetti di ciascun modello. Per le grandi banche spa la crisi finanziaria del 2007 (il cui simbolo è proprio una banca “demutualizzata” come la Northern Rock, ovvero una banca cooperativa che diventa spa e fallisce, con relativa corsa agli sportelli) insegna che il problema è nell’eccessiva presa di rischio con operazioni speculative.Per le banche cooperative e popolari il problema sorge quando la prossimità al territorio si trasforma in incapacità di resistere alle pressioni locali nella concessione dei prestiti (e in una limitata diversificazione del rischio del portafoglio crediti). Dobbiamo pertanto curare entrambi i modelli dalle loro potenziali patologie. Da questo punto di vista la riforma delle Banche di credito cooperativo che sta per andare in porto è un buon passo avanti. Ma anche per gli istituti di credito che si sono dati struttura e logiche di società per azioni, forme di separazione tra banca d’affari e banca commerciale sarebbero altrettanto importanti per scongiurare in futuro le derive speculative del passato, evitando di confidare solo nell’autoregolamentazione attraverso i modelli di rating interno. Dall’altro lato del mercato questa crisi ci insegna che non possiamo restare fermi allo stereotipo del “povero” e inconsapevole risparmiatore che incappa nel bancario fraudolento e investe il 100% del proprio risparmio in un unico prodotto speculativo. Il risparmiatore non è Cappuccetto Rosso e per evitare che il mondo della finanza sia stucchevolmente simile a quello delle favole di Grimm abbiamo paradossalmente bisogno di un passo avanti in direzione paternalista e uno in direzione di una maggiore formazione e responsabilità individuale. Per il primo è presto detto. Come quando nacque il sistema pensionistico i lavoratori furono di fatto costretti ad accantonare parte del loro salario per evitare di restare senza risparmi al termine dell’età lavorativa così è possibile proibire investimenti al di sotto di una soglia minima di diversificazione. Per fare un esempio non sarebbe difficile proibire per legge che una liquidità complessiva di 100mila euro venga investita interamente in un unico titolo. Limiti minimi di diversificazione in proporzione al patrimonio totale liquido possono essere definiti senza particolari difficoltà. Non ha senso invece vietare per se la vendita di obbligazioni subordinate come se fossero la causa di tutti i mali (e allora con le azioni, che sono più “pericolose”, che si fa ?). Il problema è la diversificazione del portafoglio non la possibilità di acquistare titoli rischiosi. Allo stesso tempo non possiamo non promuovere – come è stato sollecitato più volte da queste colonne, da ultimo proprio martedì scorso con un editoriale di Luigino Bruni – un passo avanti in termini di educazione finanziaria. Prima di poter circolare con la nostra macchina nel traffico dobbiamo superare un esame per ottenere la licenza di guida. Il traffico finanziario è altrettanto complesso e pericoloso e alcune regole basilari dovremmo impararle tutti prima di prendere il largo. Anche le più semplici, come quella di non mettere tutte le uova nello stesso canestro (il principio della diversificazione del rischio) o di tenere bene a mente che rischio e rendimento sono positivamente correlati e dunque, dove ci si prospetta un rendimento maggiore non possono che esserci maggiori rischi (in finanza non esistono “pasti gratis”). Il traguardo è un mondo di risparmiatori che invece di gridare al lupo sappiano guardarsi meglio dai pericoli e ne siano in parte protetti da regole ed istituzioni.
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