La maternità fonda il mondo (amore, non solo rispetto)
mercoledì 2 febbraio 2022

Il rifiuto della maternità, che sta diventando uno dei tratti più caratteristici di questi anni (o, se così si preferisce dire, del 'postmoderno') sta inevitabilmente alterando la stessa autocomprensione dell’umano. Non c’è infatti dimensione di vita che non si intrecci non solo con la generatività, ma in particolare con quella dimensione della generatività che è affidata alla donna, con la maternità.

Lo spazio di vita che la 'natura' assegna agli uomini e alle donne viene psicologicamente violentato dalla rimozione di tre paradigmi, di cui le donne sono protagoniste: quello della mortalità, assimilata a una sventura soprattutto se tragica, precoce, collegata a una nascita; quello della vecchiaia (con le sue inevitabili fragilità ed esigenze di assistenza) e sempre più arbitrariamente ritenuta un indebito peso che egoisticamente ogni generazione scarica sulle generazioni successive; e quello della malattia, percepita ormai come uno scandalo intollerabile in una società che ha fatto della 'salute' il suo vero e proprio mito dominante. L’esito di queste dinamiche, che si intrecciano, creando vincoli che nessuno sembra ormai in grado di sciogliere, fa della società contemporanea un contesto freddo e conturbante, al quale tutte le donne vorrebbero sottrarsi, senza però assolutamente sapere in che modo.

Non è questo il luogo per formulare proposte o avanzare suggerimenti. Ma può essere il luogo per esortare tutti (uomini e donne) a riflettere sul primato dell’identità femminile su quella maschile, che la cultura postmoderna ci impone di riconoscere. Un primato sociologico-culturale, innanzitutto, come ho cercato di delineare nelle righe precedenti. Ma soprattutto un primato antropologico. Dio ha affidato alla donna la cura e la formazione dell’identità umana, in modo così deciso e irrevocabile che difficilmente, davanti a un’icona o a un’immagine che rappresentano una madre che tiene sulle ginocchia il proprio figlio, non percepiamo una sorta di misteriosa emozione o commozione. Quella donna rappresentata da un artista, indipendentemente dal valore estetico della rappresentazione, è un’immagine di nostra madre e quel bambino che essa tiene in grembo è una nostra immagine. Per rappresentare l’umanità in una straordinaria sintesi bastano solo queste due figure: la Madonna e il Figlio (ed ogni donna è di principio una 'Madonna' e ogni bambino è di principio un 'Bambino Gesù '). Aggiungiamo pure, e dobbiamo farlo, la tenerissima immagine di san Giuseppe, ma sappiamo tutti benissimo che la sua santa e necessaria paternità è di mero supporto alla maternità di Maria. Bisogna tornare a insegnare alle bambine, a tutte le bambine, che devono amare i piccoli, i fratellini, e in generale i 'maschi', perché l’amore, quel poco di preziosissimo amore che sopravvive nel mondo, è affidato alla loro custodia e resterà tale per tutto l’arco della loro vita. E dobbiamo tornare a insegnare ai bambini che non basta un sincero e doveroso rispetto per le bambine, per tutte le donne, per il 'femminile': non il 'rispetto', ma l’amore è ciò che deve guidare il mondo ed è la donna, e la donna soltanto, che apre e dona al mondo la via dell’amore. Se e quando intenzionalmente e consapevolmente la donna rifiuta la maternità è come se rifiutasse la dimensione più autentica della propria identità, cioè proprio quello – ci piaccia o no riconoscerlo – che sta a fondamento del mondo.

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