La madre schiava di Leonardo: un capolavoro su righe storte
mercoledì 15 marzo 2023

Quando si parla di storie di oltre seicento anni fa, le tracce che ce ne restano sono sottili come tele di ragno – quasi impalpabili, nel fondo nell’oscurità del tempo. Ma il filologo e storico del Rinascimento Carlo Vecce, docente all’Università L’Orientale di Napoli, è uno stimato studioso di Leonardo, e – ha annunciato ieri – di aver trovato nell’Archivio di Stato di Firenze un documento che proverebbe come la madre di Leonardo da Vinci fosse una schiava. Di etnia circassa, quindi del Caucaso, rapita bambina dai tartari, venduta a Venezia e rivenduta a Firenze.

Il professor Vecce, che su questa scoperta pubblica un libro, è uno studioso cui si può dare credito. Che la madre di Leonardo si chiamasse Caterina, si sapeva. Di umili origini, già madre di un figlio e balia, era serva in casa del notaio Piero Vinci, che non la sposò. Il bambino, tuttavia, fu accolto con affetto, e il nonno Antonio ne annotò la nascita, nell’aprile del 1452. La notizia è quel rogito – sì, come di una cosa – del 2 novembre 1452, in cui la padrona di Caterina, una dama di nome Ginevra, le concede la libertà. Caterina vi risulta essere una schiava proveniente “de partibus Circassie” – oggi fra Armenia, Azerbaigian, Georgia e Russia. Un bottino di guerra, ipotizza Vecce, portata da Tana, l’attuale Azov, attraverso il mar Nero a Costantinopoli e poi in Occidente. Il notaio che registra il rogito è Piero da Vinci, il padre di Leonardo, che in quei giorni aveva sei mesi. (Quasi fosse, quella liberazione, un atto di riconoscenza).

Caterina fu poi data in sposa a un tale Butti, detto Attaccabrighe, e ne ebbe cinque figli. Ma prima restò accanto a Leonardo, nell’infanzia a Vinci. Ora, guardando con gli occhi di oggi queste fragili trame, questa Caterina era stata rapita bambina, venduta, passata da un padrone all’altro. Molto bella doveva essere, “roba” fine per il ricco mercato di Venezia. E chissà quanto consenziente era, quel giorno di fine primavera in cui il padrone la mise incinta? Una schiava, una cosa trasportata nelle stive di navi, tra spezie e incensi e ori, e topi. Inimmaginabile per noi la violenza subita da quella bambina, da quel bottino di guerra (benché simili violenze si consumino ancora, in guerre lontane da noi).

Ma la schiava di un Paese allora considerato barbaro concepisce, magari in un amplesso casuale o subito, Leonardo. Singolare trama, straordinario incrocio di geni fra due etnie lontane. Quel bambino si rivela presto un bambino speciale. Se ne accorge Caterina? Lo allatta, lo culla come ogni neonato, forse rivede nel suo volto qualcosa dei suoi tratti. In quale lingua gli canta una ninna nanna di terre lontane? Tutta la sofferenza che quella giovane donna ha traversato quale impronta le ha lasciato negli occhi, nei gesti delle mani? Quanto dolore sa, una che è stata portata via dai suoi e fatta schiava? Dio le ha messo tra le braccia un genio: ma quanto conta, anche con un genio, l’essere amato o no, e spinto verso la vita – come se la vita fosse una cosa tuttavia buona, o no. Quella Caterina ha allevato un diamante e ce lo ha lasciato, lei, che era stata merce al mercato di Venezia. Vista con gli occhi di oggi, la sua è una storia semplicemente atroce. Eppure, chi ne è venuto. Che Dio abbia fatto un capolavoro, dalle nostre righe più storte?

Il professor Vecce ipotizza anche che negli ultimi anni Caterina abbia raggiunto Leonardo a Milano, e vi sia morta. Tra le sue braccia. Fili di ragno, dicevamo, sono le tracce di queste remote storie. Ma, quanto vorremmo fosse vero. Che la piccola circassa rubata se ne fosse andata in cielo, infine, fra le braccia di un principe: quello che aveva messo al mondo, e amato.

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