martedì 8 maggio 2012
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​Più o meno come previsto (con qualche più e molti meno per tutti). Un anno dopo, la "macchina delle sberle" elettorale è tornata in azione. Avara di credito ai partiti e generosa di "lezioni", a destra, a sinistra e pure al centro. A conferma che continua il tramonto senza gloria, e tra risentiti rimpianti popolari, del bipolarismo così come l’abbiamo conosciuto negli ultimi diciotto anni e che il ritardo nella ristrutturazione della nostra politica e del modo stesso di farla (e di finanziarla) pesa forse un po’ meno di quanto di potesse immaginare, ma comunque maledettamente tanto nella testa della gente e sulle scelte di voto e di non-voto. Circa due terzi degli aventi diritto sono infatti andati ai seggi, ma un’altra grossa fetta di corpo elettorale – quasi il 7% più rispetto all’ultima volta – ha ancora una volta rinunciato a dire la sua sul governo delle città dove vive o, meglio, ha gridato sfiducia, disagio, disaffezione e disillusione.Il nuovo, sferzante, verdetto è arrivato puntuale all’apertura delle urne del primo turno amministrativo 2012, e nonostante che il meccanismo elettorale comunale sia teso a garantire comunque la governabilità degli enti locali. Vincono, dove vincono, le facce più che i partiti. Che spesso finiscono in polvere. Perde peso – in certe situazioni in maniera impressionante – il Pdl già post-berlusconiano e non ancora alfaniano, ma il Terzo polo imperniato sull’Udc e su scelte di alleanza (o di autosufficienza) a macchia di leopardo non riesce a giovarsene. Il Carroccio, dopo la "secessione" dalla coalizione di centrodestra e dalla sua immagine verde-pulizia, un po’ traballa e un po’ tracolla e si consola solo con il successo di quel leghista tutto speciale che è il veronese Tosi. Un Pd visibilmente più magro si ritrova detentore di un primato lusinghiero eppure malinconicamente residuale, da «usato sicuro» come s’era lasciato scappare Bersani, mentre a sinistra continua a funzionare a singhiozzo l’acceleratore dell’Idv (ancora una volta svettano solo i grandi nomi, stavolta quello del ritornante Orlando a Palermo) e i vendoliani, pur gratificati dal successo di Genova, arrancano in piazze importanti. Persino le Cinque stelle, bacino naturale di un annunciato e temuto voto di protesta, alternano incassi spettacolari (come a Parma e a Genova) e risultati così così, dimostrandosi forza prevalentemente nordica, capace di raccogliere anche porzioni di ex voto moderato eppure alla fine meno esplosiva delle dichiarazioni di Beppe Grillo, sua sulfurea voce di riferimento.Naturalmente, come in ogni elezione comunale, ci sono altri conti da fare e che si perfezioneranno solo dopo il secondo turno. Da questo punto di vista, a quanto è dato di capire, si ribalterà il rapporto di partenza tra amministrazioni a guida di centrodestra e giunte di centrosinistra, a vantaggio di queste ultime. Un dato assai concreto per la vita degli amministrati nelle diverse città, una potenziale illusione ottica – come si annotava su queste colonne alla vigilia del voto – sul piano della valutazione politica generale.Pare, infatti, davvero difficile non vedere che al centro della scena politica italiana c’è oggi soprattutto un vuoto. Un vuoto politico. E di buona politica. Sia la polverizzazione del consenso sia la condizione di attesa di una parte non piccola dell’elettorato lo fanno risaltare ancora di più. A scanso di equivoci, diciamo subito che non vediamo nuovi problemi per il governo in carica. A scanso di equivoci, diciamo subito che non vediamo nuovi problemi per il governo in carica. A Mario Monti bastano quelli che già ha, a cominciare dalla complicata coabitazione tra i tre dell’ABC. Ovviamente, questo voto indirizza anche al premier e ai suoi ministri un monito (che il Paese è sotto stress non è però una scoperta), ma soprattutto li conferma nell’inevitabile compito di piloti della nave Italia lontano dagli scogli di uno choc alla greca e di co-ispiratori di una possibile e necessaria correzione di rotta, oltre il mero rigorismo, dell’Unione Europea. No, dunque. Il vuoto evocato è un altro.

Mentre altrove nel Vecchio Continente ci si sta misurando – ne ragiona oggi stesso, qui, con lucidità Marco Olivetti – con la severa sfida rappresentata dalla corposa estremizzazione di ampi settori dell’elettorato, da noi resta aperta soprattutto la questione dei perni democratici di una sana democrazia dell’alternanza. Una duplice questione, quindi. La prima riguarda la riarticolazione e la rappresentanza di quell’area moderata che, da sempre, è cruciale per l’equilibrio (o lo squilibrio) del nostro sistema sociale e politico ed è tradizionalmente decisiva per il governo e l’utile sviluppo del Paese. La seconda concerne la vocazione e le priorità di quell’area di sinistra che, nel recente passato, si è autonominata gioiosamente "macchina da guerra" o "fabbrica" d’idee e si è ripetutamente scoperta o sconfitta o incapace di visione condivisa e quindi di azione di governo. C’è un anno di tempo per sciogliere i nodi, capire le vere attese e farsi capire dal Paese. Bisogna però che forze già esistenti, energie disponibili e leader potenziali che ambiscono a essere utili e "grandi" si mettano in gioco e trovino parole e gesti che sappiano parlare agli italiani. Le "sberle" servono anche a questo, a svegliarsi.

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