sabato 2 aprile 2022
L’invasione dell’Ucraina ha messo in crisi il modello dei nazionalismi nella Ue. Chi era euroscettico ora deve schierarsi, i temi classici fanno meno presa, pesa il legame con Putin
Manifesti elettorali in Francia: domenica prossima si vota per il primo turno delle presidenziali

Manifesti elettorali in Francia: domenica prossima si vota per il primo turno delle presidenziali - Epa

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Ecco come potrà cambiare il panorama politico Il cuore dell’Europa sta cambiando. Il clima di guerra che si respira dal 24 febbraio scorso ha già fatto mutare pelle all’opinione pubblica del Vecchio Continente e, mentre a poche centinaia di chilometri da casa nostra si combatte, le democrazie occidentali tentano di fare ugualmente il loro corso, consapevoli che la normalità della vita pubblica, seppur sconvolta dal conflitto, è il vero patrimonio da difendere.

Per questo si andrà a votare domani in Ungheria, il Paese simbolo dell’asse di Visegrad, coinvolto nell’emergenza umanitaria, e domenica prossima le urne si aprono in Francia, uno degli Stati chiave per eccellenza della costruzione europea. Nel 2022 toccherà anche a Paesi come l’Austria e la Svezia, mentre tra un anno sarà la volta dell’Italia. Per questo è utile cercare di capire adesso, dopo l’iniziale spaesamento, come stanno reagendo i nostri cittadini all’invasione della Russia in Ucraina. Anche perché da più parti l’offensiva di Vladimir Putin è stata letta come l’inizio della fine per le grandi autocrazie, come il possibile anno zero di populismi e nazionalismi di mezza Europa. È davvero così? E che cosa ci aspetta nel medio periodo?

Il populismo a cui siamo stati abituati non sarà più lo stesso, è bene dirlo subito. Il primo dato di fatto è stato il cambiamento dell’agenda politica. «La doppia crisi infinita, che ha legato la pandemia alla guerra in Ucraina, sembra aver tolto molto spazio di manovra alle forze nazionaliste e sovraniste», riflette Marco Valbruzzi, che insegna Scienza politica all’Università di Napoli Federico II e che è stato responsabile dell’area politico- elettorale dell’Istituto Cattaneo. Chi era abituato a dettare tempi e modi della sua azione, aggregando elettori e sistema dei media nella gara del consenso, si è trovato spiazzato dal precipitare degli eventi. «Diversi leader hanno perso potere sull’agenda e non riescono più a imporre i loro temi, come riuscivano a fare fino al 2020. È come se questo tipo di confronto militare stia creando un crinale tra le forze liberali e il resto. Chi è euroscettico deve schierarsi, mentre prima poteva non farlo». Così accade che i destini di leader tradizionalmente anti-establishment, da Viktor Orbán a Marine Le Pen, da Matteo Salvini a Giorgia Meloni, improvvisamente si separino. «È la scelta di campo tra la democrazia e l’autarchia, tra l’atlantismo e il suo opposto», continua Valbruzzi.

Per Lorenzo Pregliasco, esperto di comunicazione politica e cofondatore di Quorum/YouTrend, «la scommessa su Putin di tanti politici, in Occidente, adesso si scopre tradita. Gli elettori di destra, in particolare, sentono di doversi allontanare dal modello di leader forte, decisionista, che si riteneva inattaccabile. L’archetipo dell’uomo solo al comando, nella sua autonarrazione, ha funzionato finché riusciva a mettere l’Occidente di fronte alle sue contraddizioni, in particolare perché faceva presa sulla difesa dei valori tradizionali. L’invasione dell’Ucraina ha cambiato lo sguardo». Il rischio di una conventio ad excludendum per Mosca è alto e secondo molti analisti potrebbe riproporsi la necessità di una scel- ta di campo come fu nel 1946 tra due blocchi contrapposti. In questo caso, però, la prospettiva è di lungo periodo. A breve termine, invece, potrebbe modificarsi l’offerta politica populista, ma non la domanda che in alcuni casi resta senza risposta, in altri cerca nuove forme di rappresentanza (e di rappresentazione). «Se guardiamo alla Francia, l’ondata anti- Macron si sta dividendo in tanti rivoli, da Eric Zemmour a Jean-Luc Mélenchon, fino alla stessa Marine Le Pen – riprende il professor Valbruzzi – e fatalmente rischia di sbranarsi da sola». L’interrogativo semmai è un altro: come si ridefinirà tutto questo, una volta finita la guerra?

Sarà probabilmente il rapporto tra Europa e Russia la cartina di tornasole dell’evoluzione del sistema politico. I partiti si riposizioneranno sulla politica estera, dunque, e non sui tradizionali (e in alcuni casi vantaggiosi) temi di politica interna, dall’immigrazione al lavoro. «In Italia, e non solo, l’oggetto del confronto in vista del voto non riguarderà tanto le dinamiche nazionali, quanto le scelte che le forze politiche hanno fatto in questo mese e che dovranno giustificare in campagna elettorale, anche per legittimarsi in ruoli di governo futuri». Le linee di frattura interesseranno trasversalmente gli schieramenti, la comunicazione riguarderà non l’ordinaria amministrazione ma l’emergenza (dopo quella sanitaria, quella geopolitica). «Il dibattito pubblico va a fiammate – riflette Pregliasco – tra picchi di mobilitazione come quelli che ci sono stati all’inizio del conflitto e cali di attenzione che possono sfociare nell’indifferenza. Di certo, a oggi possiamo dire che vengono premiate le forze responsabili, mentre si marginalizza il sovranismo. Ma le ondate possono cambiare ancora». Secondo i dati di Swg, il conflitto ha portato a un miglioramento della percezione dell’Unione Europea in più di un italiano su quattro, anche se resiste uno 'zoccolo duro' pro-Mosca, visto che il 12% non condanna l’operazione di Putin.

Di sicuro, per restare alle correnti d’opinione innescate da questo mese abbondante di guerra, c’è spazio per quello che il politologo del Cattaneo chiama «un populismo europeo. Non più euroscettico, ma dentro l’Europa. Potrebbe avere il volto di Zelensky, che ha saputo parlare direttamente al popolo in modo diretto e senza schemi. Lo ha fatto in contrapposizione di Putin, scegliendo una cornice occidentale». Il nuovo nazionalismo sembra passare paradossalmente più da Kiev che da Budapest, dove Orbán dovrà fronteggiare per la prima volta, sia pur da posizioni di forza, un’opposizione unitaria al suo governo, composta da sei partiti che coprono posizioni socialiste, ecologiste, liberali e nazionaliste. Sarà una prova decisiva per il politico magiaro e soprattutto un segnale sulla tenuta dell’asse di Visegrad, già profondamente segnato dall’emergenza umanitaria in atto da settimane.

Per il resto, i partiti che rappresentano lo Stato sono destinati a rafforzarsi, visto che in tempi di crisi ci si raduna intorno alla bandiera nazionale: vale a destra come a sinistra. È una domanda di valori e di identità comune, quella che sta emergendo, e che cerca riparo in porti sicuri, più istituzionali che di movimento. «Il populismo duro e puro diventerà residuale, chi saprà mettersi in gioco resisterà e crescerà – osserva Valbrizzi –. D’altra parte, come si sta vedendo in Italia una legislatura è più che sufficiente per bruciarsi o reinventarsi». Per questo, la crisi ucraina sta puntellando nelle diverse capitali europee chi si sta mostrando più affidabile. «I sondaggi a Parigi dicono che Macron è stato rafforzato dalla variabile guerra, con un rimbalzo di consensi nelle ultime settimane. Ha personalizzato la partita, ha giocato sulle divisioni degli avversari e ha sfruttato il sistema politico-elettorale più accentratore che esista». Lo stato di salute delle democrazie, poi, si giocherà come sempre sulla partecipazione al voto, sulla capacità di fare massa critica intorno a battaglie ideali, sulla visione di mondo che verrà offerta. Avere il monopolio dei cuori conterà più di tutto, una volta che le sirene di guerra avranno finalmente smesso di suonare.

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