La giustizia di Penelope
martedì 20 giugno 2023

Non è un buon medico quello che, al cospetto di un malato grave, rischia di intervenire con decisione tale da comprometterne ulteriormente le condizioni. E non lo è, parimenti, quel medico che pretende di curare il paziente solo con placebo e rassicurazioni. Figuriamoci, poi, se i due medici in questione si mettono a litigare al capezzale del malcapitato. È ciò che accade da più di 30 anni davanti a quel grande malato che è la giustizia italiana.

Tutti, infatti, ne vedono e ne denunciano ritardi e lacune, nessuno oserebbe affermare che i tribunali del nostro Paese funzionano in maniera almeno sufficiente. Eppure la giustizia continua a essere campo di battaglia politico, anziché terreno di confronto (anche aspro, purché sia autentico) per una vera riforma organica.

S’è detto e scritto, nei giorni scorsi, che con la scomparsa di Silvio Berlusconi si sarebbe chiusa un’epoca, caratterizzata anche da scontri furiosi sulla materia giudiziaria tra i partiti, tra alcuni partiti e la magistratura associata, talvolta addirittura tra istituzioni. Ebbene, a oggi la chiusura di quell’epoca sembra francamente ancora di là da venire, mentre si susseguono azioni e circostanze che certo non agevolano l’avvento di una fase nuova in cui tutte le parti in causa si assumano la responsabilità di cambiare ciò che non funziona.

Non aiuta, per esempio, che qualcuno nello staff del ministro Carlo Nordio abbia definito «il migliore omaggio che possiamo fare a Silvio Berlusconi» il fatto di portare in Consiglio dei ministri, il giorno dopo il funerale dell’ex premier, il testo che abolisce il reato di abuso d’ufficio e detta nuove norme su intercettazioni, custodia cautelare e traffico d’influenze. Tanto che lo stesso Guardasigilli ha definito «stravagante» quella frase. Non aiuta, poi, che il ministro Nordio rifiuti l’Associazione nazionale magistrati come interlocutore e liquidi le sue osservazioni come «interferenze» sull’azione di governo.

Non aiuta, tuttavia, nemmeno l’atteggiamento della stessa Anm, che non sembra oggi molto diverso da quello assunto nel 1997 contro la Bicamerale presieduta da D’Alema o, appena l’anno scorso, contro la riforma Cartabia, solo per fare due esempi (sui molti possibili) distanti tra loro nel tempo. Non aiuta, infine, lo stato di confusione in cui sembra piombato il Pd, il maggior partito di opposizione, che con i suoi sindaci coerentemente apprezza l’intervento sull’abuso d’ufficio mentre i vertici nazionali annunciano barricate.

Oggi la riforma Nordio dovrebbe approdare in Parlamento. Si tratta di una riforma parziale, di un “pezzo” di riforma, come tutte quelle che l’hanno preceduta. Poteva fare eccezione quella della già citata Marta Cartabia, che aveva dalla sua una maggioranza straordinariamente ampia (era il governo Draghi) e teneva dentro le istanze di quasi tutti, seppure composte in un necessario compromesso. La stessa ministra la definì «la riforma migliore possibile», alle condizioni date. E come sempre, chi è arrivato dopo ha promesso di smontarla, in tutto o in parte. È per questo che il nostro ordinamento giudiziario, così come la legislazione penale, hanno assunto nel tempo l’aspetto di quelle coperte lavorate ai ferri con tante pezze di colori diversi. O della tela di Penelope.

L’attuale ministro, per ora, è intervenuto su alcuni aspetti che presentano evidenti criticità e che troppo spesso hanno rovinato la vita di persone non colpevoli. Si può pensare di definire meglio il reato di abuso d’ufficio, anziché cancellarlo del tutto? Probabilmente sì. Si può salvaguardare la riservatezza delle comunicazioni, la reputazione delle persone e la loro vita privata senza togliere alla magistratura uno strumento investigativo spesso (non sempre) essenziale come le intercettazioni telefoniche e ambientali?

Sì. Basteranno due anni e l’assunzione di 250 magistrati per garantire che solo collegi di tre giudici decidano sulle richieste di custodia cautelare senza mandare in crisi gli uffici Gip? Forse no. Sarebbe auspicabile che, da oggi, in Parlamento ci si confronti su questi aspetti concreti, senza sventolare le solite bandierine, senza blindature, senza pregiudizi. Perché la giustizia, oltre che uno dei tre poteri dello Stato democratico, dovrebbe essere anche un servizio al cittadino.

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