martedì 21 luglio 2015
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Igiuristi si dividono grosso modo in due categorie: i positivisti, che credono che le leggi nascano esclusivamente dalla volontà del legislatore (auctoritas facit legem) e i giusnaturalisti, che invece ritengono che esse debbano provenire dalle cose stesse (ex facto oritur jus). Per i primi una legge sarà da ritenere ingiusta quando venga imposta al popolo da un legislatore tirannico, sordo alle esigenze e alla volontà dei sudditi; per i secondi sarà invece ingiusta qualsiasi legge, ancorché voluta da un popolo sovrano, che non trovi le sue radici nella realtà, nei fatti o, se così si vuole dire, nella «natura delle cose».  Naturalmente esistono diversi modi per operare una mediazione tra le due prospettive: per esempio, si può auspicare (e questo è di fatto il nucleo del paradigma democratico) che il modo migliore per leggere la «natura delle cose», rispettarla e trasformarla in diritto sia quello di affidarsi a un saggio legislatore, che si tenga lontano da ogni ideologia e ponga al vertice delle sue preoccupazioni la difesa dei diritti umani (che esistono non in quanto 'voluti', ma in quanto fondati sulla stessa natura dell’uomo).  Se ragioniamo a partire da questa grande dicotomia, e l’applichiamo al tema rovente del riconoscimento matrimoniale o similmatrimoniale delle convivenze tra persone omosessuali, possiamo rilevare un vero e proprio paradosso, che si sostanzia in un rovesciamento delle parti: il mondo cattolico, da sempre legatissimo al modello giusnaturalistico, si oppone con giusta durezza a qualsiasi legge che operi un simile riconoscimento invocando però argomenti essenzialmente positivistici, quale il dettato della Costituzione italiana, che, nell’autorevolissima lettura della Corte Costituzionale, nega la possibilità giuridica di assimilare al matrimonio qualsiasi forma di riconoscimento istituzionale delle unioni omosessuali. Il mondo laico, che tradizionalmente avversa il giusnaturalismo, per la convinzione che questo paradigma identifichi arbitrariamente i 'peccati' con i 'reati', porta avanti invece una serie di argomentazioni fondate sulla natura delle cose, cioè su come, a loro avviso, sia ormai cambiata, nella modernità secolarizzata, l’idea stessa di famiglia e di come sia doveroso che il legislatore, prendendo atto di questo mutamento, lo normativizzi. È superfluo rilevare quanto le due posizioni siano distanti, ma anche quanto sia possibile confondere i due piani argomentativi.  È impossibile prevedere, allo stato attuale, quando verrà affrontata dal nostro legislatore la questione e soprattutto come essa verrà affrontata. Sembra che nel nostro Paese l’opinione pubblica (per come emerge dai sondaggi o da recenti manifestazioni, come quella dello scorso 20 giugno) sia molto perplessa per quel che concerne le unioni omosessuali, in particolare per la loro pretesa di poter adottare bambini: il che fa pensare che proprio su questo punto il dibattito sarà molto duro. Ma sappiamo anche quanto debole sia l’appello alla pubblica opinione, così pronta ad accettare domani ciò che viene da essa rifiutato oggi. C’è una sola cosa che può fare chi voglia riflettere sulla questione, senza appiattirla sui sondaggi, né in un senso né nell’altro: operare per metterne esattamente a fuoco il punto essenziale, che viene in genere trascurato sia dai positivisti che dai giusnaturalismi. E il punto è questo: piaccia o non piaccia, la 'famiglia' ha una consistenza dura, durissima e non c’è nulla di più ingenuo che un disperare apocalittico sulle sue sorti o un illuministico sperare sulle sue possibili metamorfosi. Se la famiglia è, come è, la struttura antropologica fondamentale che garantisce il ricambio generazionale della specie umana, né le pronunce delle più alte Corti di giustizia né le forme tumultuose del moderno mutamento sociale saranno in grado di incrinarla e meno che mai trasfigurarla o distruggerla.  Dobbiamo difendere la famiglia, certamente, ma non perché essa corra il rischio di morire, ma perché abbiamo il dovere di difendere la dignità umana non solo a livello individuale, ma anche a livello istituzionale, contro ogni attentato contro di essa. E se, nel difendere la famiglia, commettiamo errori (e quanti ne stiamo oggi commettendo!), dobbiamo conservare la serena coscienza che essa è in grado comunque di resistere a ogni offesa e di restare alla fine l’unica padrona del campo. Questa consapevolezza non ci aiuterà, probabilmente, a ottenere facili e immediati trionfi, ma ci darà il giusto metodo per combattere con la tenacia e le armi degli uomini e le donne di pace una 'guerra' che la famiglia non perderà mai.
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