La dignità del lavoro non si «ingessa»
sabato 4 agosto 2018

La qualità e la dignità del lavoro è la questione numero uno per i cittadini italiani. Non a caso le ultime Settimane Sociali dei cattolici, lo scorso anno, sono state centrate proprio su questo tema. Le scelte del Governo gialloverde nel Decreto Dignità rischiano però, pur con intenzioni buone e anche ottime, di creare più problemi che soluzioni. L’idea di fondo è che se in Italia il lavoro non c’è o è precario è per la furbizia degli imprenditori che sfruttano tutte le opportunità contrattuali che hanno per ridurre il costo del lavoro e fare più profitti. La situazione è in realtà un po’ diversa. Viviamo una delle fasi più critiche della nostra storia, quella della competizione globale con Paesi poveri ed emergenti che hanno costi del lavoro e di Sistema Paese di molto inferiori ai nostri. Tutto è accelerato (non solo i cicli politici, ma anche quelli economici) e le imprese devono continuamente aggiustare le loro decisioni d’investimento a picchi e variazioni (stagionali e ciclici) della domanda. Le imprese italiane, soprattutto le piccole e medie, si difendono come possono e lo fanno utilizzando diverse forme contrattuali. L’ideale anche per loro sarebbe avere forza lavoro stabile anche perché assumere e licenziare costa, e ogni volta che si perde un lavoratore si perde l’investimento in formazione effettuato sullo stesso e bisogna ricominciare daccapo con uno nuovo. La crescita enorme dei contratti a tempo determinato evidenziata anche negli ultimissimi dati Istat mensili indica dunque un fenomeno strutturale coerente con questo scenario. Pensare di difendere la dignità del lavoro con una maggiore severità sulle regole avrà con tutta probabilità l’effetto paradossale di aumentare ulteriormente il divario di competitività tra le nostre imprese e i concorrenti internazionali.

Di fronte alla riduzione dai 36 ai 24 mesi per i rinnovi dei contratti a termine (a 12 mesi se non vengono date delle motivazioni) gli imprenditori si troveranno concretamente a decidere del destino di decine di migliaia di posti di lavoro: turnover (sostituzione degli attuali lavoratori con altri lavoratori con costi per l’impresa e per i lavoratori che perdono il posto) e “nero” saranno sicuramente le scelte di alcuni, soprattutto in quei casi in cui il contratto di lavoro a tempo indeterminato non si fa perché rappresenterebbe un passo più lungo della gamba date le incertezze dei mercati. Lo abbiamo scritto tante volte su queste pagine, e non ci stanchiamo di ripeterlo. Il compito più difficile della politica oggi è dire la verità ai cittadini. Più facile illuderli di avere una bacchetta magica salvo poi pagare inevitabilmente dazio al momento della verità. Viviamo in tempi difficilissimi dove l’unica via faticosa e difficile è quella di migliorare la competitività lavorando sul Sistema Paese (tempi della giustizia civile, burocrazia, regole appalti, infrastrutture digitali e no) e avendo il coraggio “impopolare” di non irrigidire il mercato del lavoro. Nel corso delle Settimane Sociali dei cattolici per difendere la dignità del lavoro abbiamo seguito un’altra strada. Imparare con umiltà dalle centinaia di buone pratiche ed eccellenze del Paese. Imparare da chi ce l’ha fatta a percorrerle le diverse strade per creare lavoro in un contesto così difficile come quello odierno. Ascoltare “dal basso” le proposte politiche di cambiamento e costruire laboratori dove l’innovazione potesse riprodursi. I suggerimenti degli “innovatori” delle buone pratiche che abbiamo fatto nostri erano e sono completamente diversi da quello di cui si discute oggi. Rimuovere lacci e lacciuoli alla piccola e media impresa favorendo accesso alle fonti di finanza esterna e migliorando il Sistema Paese. Lavorare a un’integrazione più stretta (fino ad arrivare, nei casi migliori, a una co-progettazione) tra mondo del lavoro e mondo della formazione per evitare il paradosso (frequente in Italia) di posti di lavoro vacanti perché non abbinabili alle competenze dei disoccupati. Fermare il dumping sociale (la concorrenza dall’estero sulla base di lavoro non degno) attraverso criteri minimi di responsabilità sociale negli appalti e una riforma (a costo zero) dell’Iva a livello europeo che premi con le imposte sui consumi le filiere con lavoro degno penalizzando le altre. Fantascienza in un Paese dove si mette in dubbio l’importanza dei vaccini e si creano a ripetizione nemici esterni (i migranti, l’euro, i poteri forti) inesistenti. Mentre i nostri vicini, Spagna e Portogallo, sono, fortunatamente per loro, fuori dalla bolla della comunicazione, crescono e accolgono immigrati (europei e no) noi siamo in confusione. Se i politici dormono e cantano con la ninna nanna, i cittadini devono svegliarsi. Facciamolo prima che sia troppo tardi e prima che chi “finanzia” il Paese non si fidi più.

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