venerdì 28 febbraio 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Innanzi tutto, la scuola. Lo aveva detto lo scorso anno davanti a migliaia di ragazzi riuniti nella "sua" Firenze per i "Colloqui fiorentini", l’iniziativa che un’associazione di insegnanti, Diesse, promuove su importanti autori letterari. Lo ha ripetuto davanti alle aule del Parlamento. Il presidente del Consiglio sembra avere una particolare sensibilità al tema scuola, e non solo per aver in moglie una insegnante e tre figli. In questi giorni è in corso la nuova edizione dei "Colloqui" a Firenze, e da esperienze così viene un’indicazione su che cosa significa affrontare l’emergenza scuola. Non si tratta, infatti solo e innanzitutto di una questione di muri. È giusto ripristinare gli edifici per migliorare la proposta formativa e educativa che lì dentro si svolge.Tuttavia, i "Colloqui", al pari di altre iniziative con protagonisti ragazzi e insegnati, portano all’attenzione di chi, come Matteo Renzi, dice di avere a cuore la scuola almeno tre indicazioni metodologiche, tre piste da seguire. La prima è che tra i ragazzi esiste un interesse forte a imparare se coinvolti in metodi e in esperimenti nuovi e coraggiosi. Ai "Colloqui", ad esempio, si affrontano temi di grande spessore (quest’anno si parla di D’Annunzio) con gusto e innovazioni metodologiche. Secondo spunto, occorre saper cogliere le differenze che ci sono tra insegnanti davvero motivati e attivi e altri rassegnati e sterili, quindi incapaci di suscitare l’interesse dei ragazzi. Insegnare è un mestiere difficile, eppure, paradossalmente, poco insegnato. Proprio le Associazioni di insegnanti più vive e serie possono essere il luogo per formare la professionalità dei nuovi docenti. L’accenno del ministro Stefania Giannini alla responsabilità diretta delle singole scuole nel reclutamento degli insegnanti e sulla necessità di una valutazione rappresenta un segnale incoraggiante in tal senso. Infine, il terzo spunto metodologico che da esperienze come quella fiorentina si può trarre: occorre cominciare a immaginare una scuola che esca dal declinante paradigma pseudo-illuminista e idealista che vede nel docente un funzionario dello Stato adibito a trasmettere ai ragazzi una illusoria enciclopedia del sapere (organizzata in programmi spesso tagliati in modo parziale quando non fazioso). Bisogna invece scommettere su un rapporto educativo tra adulto e ragazzi in cui le competenze, la discussione esemplare di problemi e argomenti possano lanciare il giovane nell’avventura di un sapere sempre meno organizzabile in modo rigido e statico. Il rapporto educativo, invece di un presuntuoso e grottesco "competenzificio", deve essere il "fuoco" che scalda posto al centro della scuola. E ciò richiede un cambio di prospettiva di insegnanti, dirigenti e anche famiglie. Un cambio rilevantissimo. Ma assolutamente necessario. Le istituzioni non possono né imporlo né realizzarlo, piuttosto favorirlo o impedirlo. Per la scuola, considerate anche le numerose riforme affastellate e spesso portatrici di maggiori complicazioni burocratiche invece che di miglior qualità, risuona drammaticamente vero un ammonimento di Pasolini: affidandosi e puntando sull’organizzazione, cresce solo l’organizzazione, e non la vita. Nelle scuole, invece, di vita da valorizzare ce n’è tanta: tanta da fare crescere, e tanta da imparare, come dimostra la passione con cui migliaia di ragazzi si ritrovano a Firenze. Ci sono infinite risorse di motivazione tra gli insegnanti, molti dei quali si impegnano ben oltre quel che il magro riconoscimento economico e sociale ottenuto consiglierebbe, e questo vale sia nelle scuole statali sia in quelle paritarie, ugualmente pubbliche ma gestite da enti privati e privato-sociali. Lo fanno perché sanno che educare è sia un mestiere sia un compito fondamentale. E che non c’è futuro né tantomeno risposta alla crisi che non passi da una politica coraggiosa sulla scuola.Il premier, che molti si ostinano a chiamare «un ragazzo» e invece è un uomo nel pieno della sua energia, sa che una parte della sua sfida si gioca su questo terreno, difficile ed entusiasmante. È una partita che ha come avversari una diffusa indolenza intellettuale e rendite di posizione. Ma non è una delle tante. Lo ha detto Renzi stesso ai ragazzi dei "Colloqui" lo scorso anno, ora glielo ricordano loro.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI