Perché l’umanità arretra
sabato 16 settembre 2017

La fame nel mondo torna a crescere. E ciò avviene – purtroppo – dopo lunghi anni in cui, invece, il trend era di segno opposto. Lo dicono, implacabili, gli osservatori che monitorano il fenomeno, ossia tre agenzie dell’Onu (Fao, Ifad e Pam/Wfp), nell’ultimo rapporto diffuso ieri: nel 2016, rispetto all’anno precedente, si sono registrati ben 38 milioni di affamati in più. All’incirca quanti ne conta uno Stato di medie dimensioni.

Il punto è che la responsabilità di questa situazione non è da attribuire all’improvvisa mancanza di generi alimentari, né – come vorrebbero taluni neo-malthusiani – all’aumento, sic et simpliciter, della popolazione mondiale. Da tempo gli esperti vanno ripetendo che nel XXI secolo avremmo gli strumenti e le possibilità per sfamare l’intera umanità. No: è l’uomo, con le sue scelte spesso miopi e talora decisamente scellerate, a produrre gli scenari preoccupanti che abbiamo sotto gli occhi.

Il rapporto Onu citato lo afferma a chiare lettere: le nuove vittime della fame «si devono in gran parte alla proliferazione di conflitti violenti e agli choc climatici». Ebbene, proprio in una stagione in cui l’economia mondiale, seppure con mille incognite irrisolte, sembra dare segni di ripresa e la crisi del decennio scorso pare a molti dietro le spalle, la comunità internazionale è chiamata a ricordarsi che esistono enormi drammi sociali che vanno ben oltre i dati del Pil e le oscillazioni della Borsa. E quello della fame va posto in testa a tutti, anche nell’agenda politica della comunità internazionale.

Lo diciamo a costo di apparire fuori moda. Il tema-fame, si sa, non ha grande fascino, a meno che non sia al centro di qualche campagna benefica nel periodo natalizio, quando "siamo tutti più buoni". Per il resto, appare una grande, enorme seccatura. Tanto più che ci eravamo un po’ tutti crogiolati nell’illusione che presto sarebbero diventate sinonimo di un passato irrimediabilmente lontano le immagini di adulti resi scheletrici dalla denutrizione o di bambini dallo sguardo svuotato dalla fame.
Non è così. Anche all’alba del terzo millennio, un’era in cui la tecnologia ogni giorno spalanca nuove, mirabili porte, l’uomo riesce a rovinarsi con le sue stesse mani: facendo guerra ai suoi simili e facendo guerra a quella che dovrebbe essere la sua casa, ossia il Creato.

Le statistiche confermano ciò che il buon senso intuisce di suo: i Paesi toccati dalle guerre sono anche quelli in cui le condizioni per procacciarsi il cibo e l’acqua sono più difficili. Chi semina guerra genera miseria e moltiplica la fame. Lo stesso vale per chi le guerre le alimenta per specularci sopra, con la vendita di armi ai belligeranti (anche quando tutto è fatto in guanti bianchi).
Lo stesso vale per la questione dei cambiamenti climatici: senza una sterzata decisa e corale sul versante della lotta all’inquinamento, le ripercussioni sul clima diverranno ancor più pensanti di quanto già oggi non accada, con tutto quel che ne consegue sul versante dell’alimentazione (o della fame).

È un brusco risveglio, insomma, quello che l’Onu ci obbliga a fare, sbattendoci in faccia i dati che abbiamo citato. Un risveglio cui anche papa Francesco, non più tardi di qualche giorno fa, ha fatto riferimento esplicito. Rispondendo ai giornalisti sull’aereo di ritorno dalla Colombia, aveva detto: «Il cambiamento climatico si vede nei suoi effetti, e tutti noi abbiamo una responsabilità morale nel prendere decisioni. Credo sia una cosa molto seria. Ciascuno ha la sua responsabilità morale e i politici hanno la loro». Aveva poi aggiunto, riferendosi alla testardaggine di chi non mette in discussione i propri stili di vita: «L’uomo è l’unico animale che cade due volte nella stessa buca…».

Ancora una volta, una politica internazionale che voglia essere lungimirante non può non andare alle radici dei problemi. Tamponare l’emergenza-migranti senza interrogarsi sui fattori che generano il fenomeno (guerre e cambiamenti climatici in testa) sarebbe non solo miope ma, in ultima analisi, perfettamente inutile.

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