sabato 17 ottobre 2015
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​Una delle migliori "premesse" dell’Expo, potremmo dire la sua promessa più affascinante, è stata la Carta di Milano. Il documento per dichiarare il cibo un diritto umano fondamentale e assumere la fame zero come obiettivo globale, firmato da oltre un milione di persone, ieri è stato finalmente consegnato nelle mani del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, nel corso di una cerimonia per la giornata mondiale dell’alimentazione e i 70 anni della Fao. Una ricorrenza importante non solo per quello che in sé rappresenta, ma anche per la tempistica: mancano due settimane alla chiusura di un Expo dedicato al tema della nutrizione e non è passato molto dall’approvazione, a fine settembre, dei millennium goals dell’Onu per uno sviluppo sostenibile, tra i quali spicca proprio lo sradicamento delle piaghe della fame e della povertà. La tappa importante di un lungo e ideale percorso, insomma, che ha provvidenzialmente trovato la sua agenda morale e spirituale (e non solo) nell’enciclica Laudato sì di papa Francesco, e che sta per conoscere un ulteriore approdo nella Conferenza sul clima di Parigi a dicembre. Tout se tient, tutto si tiene, in una stagione in cui l’umanità sembra procedere a tappe forzate nella conferma di una consapevolezza sempre più netta circa i mali che la affliggono e la dividono e rendono la terra un luogo meno ospitale di quello che potrebbe essere. Lo ha ricordato ancora ieri il Papa nel messaggio alla Fao, chiedendo ai governi di «operare tempestivamente, facendo tutto il possibile» per «liberare l’umanità dalla fame», e invitando a riflettere su come troppo spesso le «politiche ingiuste» e «l’affannosa ricerca del profitto» rendano più difficili e lontani gli obiettivi di equità e giustizia. E lo ha sottolineato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, affermando che «il diritto al cibo e all’acqua possono essere raggiunti in tutti i continenti» se solo la cooperazione riuscisse a prevalere sul conflitto e il dialogo sul fanatismo. È in questo contesto gravido di contenuti e attese che si è inserito il cammino della Carta di Milano. Il sindaco della città Giuliano Pisapia, nel consegnarla al segretario generale dell’Onu insieme al Patto delle metropoli sulle politiche alimentari, l’ha definita con una dose generosa di entusiasmo l’«anima» dell’Expo. Un’anima piuttosto leggera, a ben vedere, ancora tutta da formare, orientare e liberare. La Carta era nata per diventare il lascito immateriale dell’esposizione milanese, la sua vera e più autentica eredità. L’anima, appunto. Ma ha visto la luce perdendo da subito quei riferimenti alla realtà dei problemi che l’avrebbero resa un documento veramente capace di fissare un’agenda di temi e obiettivi concreti, rendendosi credibile. Questioni come la speculazione finanziaria sul cibo, il furto di terre e di acqua, l’accesso alla terra da parte delle popolazioni autoctone, che pure facevano parte del testo del Protocollo iniziale, sono state sacrificate alla necessità di trovare un punto di incontro tra le molte realtà presenti all’Expo. Anziché puntare al massimo possibile, insomma, la Carta si è dovuta piegare al minimo comune denominatore che garantisse una pacifica convivenza. È vero, e il concetto è stato ribadito a più riprese, la vera eredità del documento è ancora tutta da scrivere, perché ciò che contava era fare in modo che i milioni di visitatori dell’Expo incominciassero se non altro ad acquisire il concetto del cibo come diritto e della fame come problema, in quella che salvo rare ma potenti eccezioni (lo diciamo senza presunzione e tra parentesi: la presenza della Chiesa, ad esempio) è stata in larga misura una fiera del cibo e dello svago. Niente di male, anzi. I "volti dei poveri" hanno trovato spazio e dignità anche in un evento come l’Expo, circostanza non scontata, un’opportunità di testimonianza resa possibile dall’impegno di chi – ricordiamo anche i giovani agricoltori del mondo "auto-convocati" da Terra Madre – ne ha fatto il significato della propria presenza. Ma la loro voce, «la voce dei poveri del mondo, quelli del Nord e del Sud» non si sente nella Carta di Milano, come ha fatto presente il segretario generale di Caritas Internationalis, Michel Roy. Non c’erano le condizioni per ascoltarli, i poveri. Forse domani, forse più avanti, se si avrà la capacità di riconoscere il documento per quello che è: solo un punto di partenza. Come trasformarlo in qualcosa di più grande, lasciando l’anima libera di creare le premesse all’ascolto, lo ha suggerito papa Francesco: «La condizione delle persone affamate e malnutrite evidenzia che non basta e non possiamo accontentarci di un generico appello alla cooperazione o al bene comune. Forse la domanda da porre è un’altra: è ancora possibile concepire una società in cui le risorse sono nella mani di pochi e i meno privilegiati sono costretti a raccogliere solo le briciole?».
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