lunedì 1 gennaio 2024
L’ex premier Enrico Letta, ora incaricato di un rapporto sull’Ue, ricorda il presidente della Commissione dal 1985 al 1995, morto a 98 anni
Jacques Delors in un'mmagine d'archivio

Jacques Delors in un'mmagine d'archivio - Imagoeconomica

COMMENTA E CONDIVIDI

Per molti di noi Jacques Delors, scomparso il 27 dicembre, è stato architetto e, al contempo, artigiano dell'Europa del sogno. Un sogno che effettivamente si è concretizzato nella creazione di una grande comunità senza frontiere. Quella nuova Europa ha consentito alla generazione di chi, come me, è nato negli anni Sessanta e alla successiva di sfruttare per decenni occasioni inedite di pace, apertura, crescita. È con Delors che si consuma la vera svolta verso l'integrazione. Non appena viene nominato presidente della Commissione, inaugura il dialogo sociale europeo. E proprio all'insegna del dialogo e di una straordinaria capacità di mediazione costruisce, passo dopo passo, il progetto che culminerà con la rimozione degli ostacoli alla libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone. Le famose quattro libertà dell'Europa, una promessa che effettivamente è diventata “in parte” realtà a partire dal ’93.

Dico “in parte” perché le forti criticità che l’Europa odierna attraversa indicano che quel lavoro va portato a compimento. Il Rapporto sul mercato unico che, su mandato del Consiglio e della Commissione, ho avuto l’incarico di redigere ha esattamente questo obiettivo: indicare le tappe del percorso necessario per realizzare, in modo compiuto e in via definitiva, le quattro libertà europee. È un processo complesso, troppo spesso condizionato in passato dalle resistenze degli Stati nazionali. È mancata, e spesso manca ancora, una visione ambiziosa sul senso storico dell'Europa unita. Delors, questo senso della storia, lo possedeva, quasi lo incarnava. Torniamo con la memoria all'89. A differenza di altri - Margaret Thatcher in primis - egli non percepì come una minaccia la riunificazione delle due Germanie.


Oltre al mercato, l’impostazione di fondo che ha lasciato comprende la competizione che stimoli, la solidarietà che unisca, la cooperazione che rafforzi. Ed è proprio da qui che si deve ripartire

Comprese, anzi, che i grandi processi storici andavano accompagnati. Ed ebbe la grande intuizione, la consapevolezza della necessità di una sorta di scambio: alla Germania il via libera alla riunificazione, ai Paesi europei la sua forza monetaria. All'origine di questa impostazione c'era una convinzione che rappresenterà la premessa anche del mio Rapporto: all'epoca eravamo tutti grandi Paesi in un mondo di piccoli; adesso, in questi primi decenni del nuovo secolo, il mondo è diventato enorme e noi grandi Paesi europei siamo diventati tutti di taglia medio-piccola. Ne deriva che, per conservare la medesima capacità di influenza che avevamo, ciascuno per conto proprio, allora, bisogna ora stare tutti insieme.

Da progressista e da cattolico Delors seppe improntare la sua idea di ricomposizione europea sui valori fulcro di quelle due tradizioni politiche: solidarietà e libertà. Tradotto: economia sociale di mercato. Ma il suo fu, prima di ogni altra cosa, un sogno di liberazione: dopo il Muro giù tutte le altre frontiere, con la possibilità di liberare e far emergere finalmente le energie rimaste troppo a lungo chiuse nei recinti nel vecchio mondo, come singoli e come società organizzate. Oggi, al contrario, in qualunque Paese europeo davanti ai dilemmi gravi della contemporaneità l'istinto è reazionario: richiudere le frontiere interne, rifugiarsi in una illusione di “protezione”. È vero: i gravi limiti di Maastricht, che pure Delors colse e denunciò, non vanno rimossi. Il disegno originario è incompiuto. Manca un bilanciamento.

Non è un caso che Delors stesso molto spingesse allora per rafforzare la dimensione sociale e il principio della solidarietà. Un approccio che alla fine è rimasto abbozzato e che solo di recente è stato parzialmente rinverdito con il piano Sure sulla disoccupazione varato dai commissari Schmit e Gentiloni. Il punto è che oggi siamo dentro una vera cesura, nel pieno di una fase di cambiamento del paradigma che ci spinge proprio nella direzione che Delors ci aveva indicato. Come racconto spesso in questi giorni di cordoglio, quando l'ho incontrato qualche mese fa, proprio dopo aver ricevuto l’incarico, mi ha ricordato che il successo del mercato unico si spiega anche con il fatto che contemporaneamente la sua Commissione varò i fondi strutturali per la politica di coesione e la riduzione delle disuguaglianze sociali e territoriali.

«Senza coesione non c’è mercato unico», diceva. Questo è lo snodo: far sì che ci possa essere il calore sociale accanto alla freddezza dell’economia. In concreto, la formula è in una triade che bene sintetizza la sua impostazione di fondo: la competizione che stimoli, la solidarietà che unisca, la cooperazione che rafforzi. Oggi, a dispetto della minaccia sovranista, io sono fiducioso che questo percorso possa concludersi positivamente. Se non ci fossero state le conquiste di Delors, staremmo peggio. Il bilancio non è fallimentare: leadership mondiale sulla questione ambientale, risposta forte al Covid, vaccini comuni, sostegno all'Ucraina aggredita sono la dimostrazione di una straordinaria capacità di reazione. Piuttosto, la vera differenza è che i progetti e le grandi idee di Delors sono stati contrassegnati da una visione di lungo periodo. Viceversa, le conquiste recenti si configurano come reazioni subitanee a crisi contingenti.

lo sappiamo tutti: un conto è reagire a una crisi, un altro sono la visione e la capacità di leggere lo scenario e di disegnarne di nuovi. C’è dunque bisogno di un’Europa che non sia solo reazione alle crisi. E anche che non sia ostaggio dei veti nazionali. Penso in particolare, per fare degli esempi concreti, ai tre grandi settori di telecomunicazioni, energia e mercati finanziari. Furono gli Stati membri che si opposero a Delors. E si tratta dei sono i tre settori in cui siamo meno competitivi rispetto agli Stati Uniti. E penso naturalmente alla politica estera che è un terreno minato perché l’Europa è divisa in termini di regole.

Di fronte a tutte queste sfide epocali abbiamo il dovere storico di completare quello che fino ad oggi abbiamo lasciato incompiuto. L'Europa, così come è oggi, è una costruzione sbilanciata. Solo dandole calore sociale possiamo recuperare il consenso della pubblica opinione più euroscettica, solo dimostrando maggiore capacità di visione possiamo correggere questo sbilanciamento. Il tutto con la consapevolezza che soltanto insieme ce la possiamo fare nella sfida globale con le grandi potenze cinese e americana. E soprattutto che nessuno ce la fa da solo.



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: