L'eredità con gli artigli del «falco» Weidmann
venerdì 22 ottobre 2021

Per taluni il suo nome era sinonimo di terrore, più che di rigore. Del resto, Jens Weidmann non faceva nulla per intaccare la propria fama di rigorista inflessibile, legato a filo doppio al motto (ma non alla sagacia interpretativa del motto) di Angela Merkel secondo cui l’economia di una nazione funziona se si fanno bene i compiti a casa. E quelli che i compiti li saltavano, o li facevano maluccio, come ad Atene, a Lisbona, a Madrid, a Dublino finivano inesorabili sotto il maglio censorio del Präsident della Bundesbank. Un falco, senza mezze misure. Che terrorizzava sia le colombe sia chi dalle colombe si attendeva uno sconto di pena.

Cinquantatreenne originario della Westfalia, già allievo di Axel Weber, suo predecessore alla guida della banca centrale tedesca, Weidmann – il cui regno a Francoforte è durato dieci anni – si era scelto fin da subito un avversario di rango: Mario Draghi. Un duello senza esclusione di colpi all’interno del board della Bce durato otto anni. Puntuale, a ogni decisione di Draghi nel sostenere le economie dell’Eurozona in difficoltà si alzava la voce dissenziente dell’ex enfant prodige chiamato dalla Merkel a soli 43 anni al più alto scranno della Bundesbank. Il dito puntato contro i 'Pigs', i maiali, (ingeneroso acronimo che radunava Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna – ma si mormorò spesso: anche l’Italia) colpevoli di una finanza allegra e di un debito pubblico troppo elevato, si volgeva anche in direzione di Draghi, per quelle sue scelte giudicate troppo concilianti nei confronti delle nazioni meno virtuose.

Il primo scontro fra i due avvenne proprio il 26 luglio del 2012, quando Draghi annunciò che la Banca Centrale Europea avrebbe difeso l’euro dalla speculazione « whatever it takes » (qualunque cosa sia necessaria). Weidmann si oppose e continuò a criticare il suo presidente che faceva acquistare i titoli pubblici dei Paesi membri in difficoltà garantendo così la solvibilità dei loro debiti pubblici. Una stampella che questo figlio del Wirtschaffswunder (il miracolo economico tedesco del dopoguerra), non poteva concepire, soprattutto quando la Bce si attestò come prestatore di ultima istanza. Per questo, in tandem con un altro alfiere del rigore come il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, Weidmann continuò dall’esterno attraverso la Bundesbank e all’interno come membro del consiglio direttivo della Bce a bersagliare Draghi. Il quale peraltro lo soprannominò « Herr Nein zu allem» (Signor no a tutto).

La guerra fra Eurotower e Bundesbank continuò aspra nel momento in cui Draghi predispose nel 2015 il famigerato 'bazooka', quell’alleggerimento convenzionalmente detto Quantitative Easing, in quanto – ed è probabilmente questo è il punto nodale della sua visione dei compiti di una banca centrale – «le misure anticrisi con la loro straordinaria flessibilità sono proporzionate solo alla situazione di emergenza per la quale sono state create. Per questo la politica monetaria dovrà rispettare il suo mandato ristretto senza farsi catturare dalla politica fiscale o dai mercati finanziari». Un vero e proprio vademecum anti-Draghi, o se vogliamo la trasparente contrapposizione fra il laissez-faire orgoglioso del rigorista che sa di aver assolto i propri compiti e il realismo di chi – come Draghi – quei compiti preferisce saggiamente aiutare i meno dotati a concluderli.

Al vertice della Bce dal 1° novembre 2019 siede Christine Lagarde, già presidente del Fondo Monetario Internazionale e prima ancora ministro dell’Economia e dell’Industria con Nicolas Sarkozy. Un posto di comando che rientrava nelle ambizioni di Jens Weidmann e che forse per un breve istante il 'falco' della Westfalia dal gelido sorriso si era illuso di poter agguantare. Ma non aveva messo in conto la ferma opposizione alla sua nomina da parte dei 'Pigs' ed anche dell’Italia. Meglio la Lagarde, creatura di compromesso fra il rigorismo del nord e le ragioni del sud d’Europa. Ufficialmente Weidmann se ne va per ragioni personali. Sensazione diffusa è che la 'coalizione semaforo' tra socialdemocratici, verdi e liberali che il cancelliere in pectore Olaf Scholz si appresta a varare in Germania finirebbe per trovarsi in scarsa sintonia con una Bundesbank guidata da lui. In fondo era proprio la Cdu, oggi lontana dal tavolo dei negoziati di governo, ad assicurargli l’appoggio e la forza necessaria per suonare la sua dura musica. Contemporaneamente anche il suo compagno di austerità Schäuble dovrà lasciare la presidenza del Bundestag.

Mentre i due falchi se ne vanno, si apre la corsa alla Bundesbank. Si dice che il successore di Weidmann sarà sicuramente una donna. Come la sua vice Claudia Buch o la rappresentante nel board Bce Isabel Schnabel. Non esattamente due colombe. E lui? Che farà il falco tanto amato da olandesi e scandinavi, arcigni protettori dello scrigno del rigore? Non farà fatica a trovar casa ovunque andrà, assicurano a Francoforte; e non hanno torto.

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