martedì 19 giugno 2012
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​Anche ieri abbiamo assistito al solito film previsto e atteso. Una spruzzata di euforia mattiniera subito spazzata via dal solito vento delle dinamiche speculative anti-euro che già nel pomeriggio ha ripreso a spazzare impetuoso. Seguito dalle razionalizzazioni a posteriori di chi si sforza ancora di trovare una spiegazione di quel vento distruttivo nei fenomeni dell’economia reale. Chi ancora crede che i mercati finanziari seguano le notizie dell’economia e della politica reali e che le notizie delle elezioni in Grecia avrebbero potuto portare il sereno non ha ancora capito in che mondo stiamo vivendo.Le istituzioni internazionali si trovano, oggi, esattamente nella situazione di quegli sceriffi che, nell’epopea del Far West, giungevano in uno sperduto avamposto della frontiera americana dove lo Stato non era mai arrivato davvero e i fuorilegge la facevano da padroni. Anche sulle spalle di coloro che hanno (o dovrebbero avere) doveri e poteri di rappresentanza grava una responsabilità decisiva nella battaglia tra il caos e la legge. E le Istituzioni che hanno come obiettivo il benessere dei loro cittadini devono oggi trovare il coraggio e i mezzi per fermare l’anarchia finanziaria. Impedendo che il gioco di chi vuole portare a casa un guadagno a breve, inseguendo dei trend, crei sempre nuovi oneri per la finanza pubblica attraverso una crescita abnorme dello spread.Il presidente Monti ha orgogliosamente sottolineato che l’Italia «ce la può fare da sola». Bello da sentir dire, ma purtroppo non è così; e affermare una cosa del genere anche a fin di bene, vuol dire sottacere o persino sottovalutare pericolosamente la potenza e le logiche perverse della speculazione. Siamo in guerra ("solo" finanziaria, certo, ma non così incruenta...) contro il genio della finanza che è scappato dalla lampada e l’unico modo sicuro per perdere la guerra sarebbe quello di non rendersi neanche conto che la stiamo combattendo. Usando una metafora sportiva oggi di moda, il "biscotto" contro l’euro c’è, ma si può sventare. Bisogna solo che ce ne rendiamo conto, e prendiamo le contromisure.Ecco perché, oltre a quanto stiamo facendo in casa nostra, c’è un impegno decisivo che l’Italia può e deve essere messa in grado di onorare sul tavolo della riforma delle regole della finanza internazionale. Nel frattempo portiamo a casa le molte piccole buone idee nel decreto sviluppo proposto dal governo. La direzione in cui va il decreto, tracciata da tempo, è quella di ridurre (come sottolineava un efficace documento della Confartigianato l’11 gennaio scorso) i 50 spread che ci separano dal modello tedesco (inefficienze della giustizia, capitale umano, digital divide, ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione). Assieme a questo interventi per "raschiare il fondo del barile" sui risparmi di spesa attraverso l’intervento della Cassa Depositi e Prestiti.Tutto questo basterebbe se non ci fosse la speculazione. L’idea fuori sacco più importante uscita in questi stessi giorni, la frontiera su cui ci giochiamo veramente la sopravvivenza dell’euro, è quella di creare un "serpente monetario per lo spread", ovvero dei limiti oltre i quali la Bce (lo sceriffo che deve imporre la legge) interviene illimitatamente acquistando titoli pubblici dei Paesi in difficoltà sul mercato secondario. La Repubblica parlava sabato di un accordo segreto italo-francese per proporre questa soluzione al prossimo vertice Ue. Non è un’idea così segreta perché è quanto abbiamo sostenuto nei giorni passati, proprio su queste colonne, assieme al collega Giancarlo Marini, riprendendo in forma più articolata e specifica un’idea di Paul De Grauwe. Il vero problema infatti sta qui. O si interviene sul secchio bucato della finanza speculativa tagliando i suoi eccessi di volatilità, o non ci sono sacrifici che tengano perché spread irragionevoli aumenteranno il costo del debito e renderanno inutili quei sacrifici. E allora dovremo trovare da qualche altra parte altri 5-10 miliardi e arriveremo alla conclusione che anche quello che fino a ieri sembrava ci spettasse di diritto è in realtà uno spreco da tagliare.Persino la storia della Grecia (che come ci ha ricordato Amartya Sen nei giorni scorsi aveva un Pil in crescita significativa prima della crisi finanziaria mondiale) sarebbe potuta essere diversa senza quella crisi. Forse si comincia a intuire il problema fondamentale che i Brics (e lo stesso Fondo monetario quando ammoniva sui limiti della non regolamentazione dei movimenti finanziari a breve) hanno capito prima di noi: la finanza non è lo specchio dell’economia reale, ma ciò che con i suoi eccessi rischia di deformarla irreparabilmente. Non possiamo permetterci di capirlo troppo tardi.
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