Il senso di un trattato e 2 brutte notizie
venerdì 8 febbraio 2019

Finalmente, grazie alle istanze promosse dalle associazioni Asgi e Cild, è stato reso noto il testo del trattato tra Italia e Niger in cui una parte sostanziale è dedicata alla promozione dei nostri sistemi d’arma nel Paese africano. Questo conferma la tendenza oramai consolidata di una politica estera italiana orientata in maniera significativa a favorire le esportazioni dell’industria militare nazionale. Nessuna novità e nessuna sorpresa se ricordiamo che Leonardo (già Finmeccanica) e Fincantieri sono aziende controllate dallo Stato. Quello che però dobbiamo ricordare è che storicamente il controllo pubblico delle imprese produttrici di armamenti aveva la sua ragion d’essere nelle esigenze di sicurezza dello Stato e la politica industriale in ambito militare seguiva la politica estera. Oggi la situazione sembra capovolta, l’industria militare contribuisce a dettare l’agenda della politica estera o quantomeno la nostra diplomazia è a disposizione delle esigenze industriali in ambito militare.

Ci si ritrova, purtroppo, a confermare due brutte notizie di cui sovente si è scritto su queste pagine. In primo luogo, la qualità della nostra democrazia si sta deteriorando. Come sottolineato anche da altri osservatori in Italia e negli altri Paesi europei, infatti, la sistematica mancata applicazione della normativa nazionale e degli accordi internazionali di limitazione delle esportazioni di armamenti sta rafforzando un processo di negazione se non rimozione delle finalità di pace e diffusione della democrazia caratterizzanti le nostre istituzioni. Su questo, peraltro, nello scorso novembre lo stesso Parlamento europeo si è espresso in maniera durissima, stigmatizzando il comportamento della maggior parte degli Stati membri. La domanda, purtroppo retorica, è infatti quale sia la qualità di una democrazia quando un’azienda di Stato viene messa nelle condizioni di poter arrivare a non rispettare leggi approvate o trattati ratificati da Parlamenti democraticamente eletti e quindi rappresentativi della volontà popolare. Nel caso specifico del trattato con il Niger il fatto che alcune associazioni di privati cittadini abbiano dovuto presentare un’istanza al Tar per conoscere i contenuti di un accordo internazionale non fa altro che confermare questa tendenza in atto di scadimento della nostra democrazia. La seconda brutta notizia riguarda evidentemente il futuro delle nostre alleanze politiche a livello mondiale. Quanto più la politica estera è suggerita dall’industria militare, infatti, tanto più le alleanze con i nostri partner tradizionali sono a rischio. È chiaro infatti che i competitor delle nostre imprese non sono altro che imprese di Paesi nostri alleati. Invero ogni governo, nel favorire le proprie imprese, si pone in competizione anche strategica con Paesi tradizionalmente alleati.

Legami e alleanze politico-militari che hanno garantito anni di pace e sicurezza rischiano di saltare. Come invertire questa perniciosa tendenza centrifuga? Almeno per quanto riguarda i Paesi europei, in primo luogo, bisogna portare – senza ulteriori indugi – al centro del dibattito pubblico la creazione di un’Agenzia indipendente europea per il controllo del commercio internazionale di armamenti anche con poteri sanzionatori. Inutile porsi dubbi. Questa sarebbe l’unica politica con qualche efficacia. Attualmente, gli Stati europei sono produttori ed esportatori di armi ma, nel contempo, dovrebbero anche svolgere la funzione di controllori. Evidentemente una situazione che impedisce un reale controllo. Un’Agenzia indipendente oltre a costituire un organo di controllo, in termini più ampi rappresenterebbe de facto un avanzamento sostanziale nel processo di realizzazione dell’Unione Europea poiché esso comincerebbe finalmente a dare concreta realizzazione all’art. 21 del trattato sull’Unione in cui si statuisce che i princìpi di azione devono essere il mantenimento della pace, il sostegno alla democrazia e il rispetto dei diritti umani. Un’innovazione istituzionale di questo tipo, infatti, darebbe un contributo sostanziale alla diffusione della pace anche al di fuori dei confini dell’Unione attraverso la limitazione del mercato degli armamenti.

Economista della pace e della sicurezza, Università Cattolica del Sacro Cuore

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