venerdì 11 agosto 2023
La scultrice e poetessa americana “naturalizzata” francese Barbara Chase-Riboud ricorda i mesi trascorsi con l'editrice arrivata da New York poi Nobel per la letteratura
Da sinistra Mae e Lovelace con Chase-Riboud e Morrison a Parigi nel 1993

Da sinistra Mae e Lovelace con Chase-Riboud e Morrison a Parigi nel 1993 - Collez.Carrie Mae

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Fra Europa, Africa e America si consumò la «tratta atlantica» triangolare della vergogna. Rotte che spesso i grandi artisti americani neri del Dopoguerra, in nome della memoria, hanno ripercorso all’indietro, fisicamente o con le proprie opere. Molti, in proposito, si sono concentrati sull’Africa. Ma alcuni non hanno trascurato l’Europa, fino a sceglierla come luogo di residenza. Così è stato per la scultrice, poetessa e romanziera statunitense Barbara Chase-Riboud, classe 1939, la cui vita dai tanti viaggi e risvolti romanzeschi ha trovato in Francia una base d’approdo. Il New York Times l’ha recentemente descritta come «una delle artiste più prolifiche e trasversali della sua generazione, con lavori definiti sia dalla prodezza tecnica, che da profonde riflessioni sulla storia americana ». Ma in realtà, si fatica a riassumere una carriera lunga 70 anni, piena di premi, mostre, commesse prestigiose, opere esposte in celebri musei, milioni di libri venduti in ogni continente. Nel 1955, quando il celebre Mo-MA (Museum of Modern Art) di New York acquistò la prima scultura dell’artista, quest’ultima aveva 16 anni.

Il triangolo America-Africa-Europa fece da sfondo, nel 1974, pure a un’insolita “vacanza” che avrebbe cambiato la vita dell’artista. Quell’anno, Barbara Chase-Riboud ricevette in Francia un’editrice giunta da New York per conto di Random House. Scopo del viaggio? Pubblicare la prima raccolta di poesie di Chase-Riboud, “From Memphis & Peking”. L’editrice in questione? Una certa Toni Morrison, destinata a divenire semplicemente la figura simbolo della letteratura americana nera del Dopoguerra. Le due donne si ritrovarono a Pontlevoy, borgo sulla Loira raccolto attorno a una celebre abbazia benedettina dell’XI secolo. Proprio il luogo scelto da Chase-Riboud per il proprio atelier, chiamato La Chenillère. Per le due artiste, davvero una vacanza stranissima, perché in teoria dedicata al lavoro, ma destinata anche a trasformarsi nell’inizio di un’amicizia da romanzo. «Giunse al mio atelier con i suoi due figli. Ma anch’io mi trovavo a Pontlevoy con i miei due. Con loro, abbiamo finito per trascorrere assieme tutta l’estate in piena campagna, fra letteratura, scultura, passeggiate. Si trattò in realtà di una sorta di conversazione senza fine, la più lunga della mia vita, durata un’intera stagione. E fu un’estate sublime, passata pure ad osservare i nostri figli, intenti a giocare assieme. Di fronte all’atelier, c’era uno stagno. Al di là, la foresta di Montrichard, magnifica», ci racconta l’artista, con la voce satura d’emozione, ripensando all’amica scomparsa nel 2019. Poi, una confidenza: «Quello che ci capitò di vivere assieme fu così intenso e magico che solo diversi anni dopo, grazie al filtro della memoria, fui capace di scrivere poemi dedicati a quei momenti».

L'artista ci offre proprio una di quelle composizioni, intitolata sobriamente “For Toni Morrison”. Il primo verso, non a caso, rievoca l’Africa sognata degli antenati, cemento invisibile fra artiste talentuose che il destino ha unito, in modo improbabile, in quella Francia da cui partirono così tanti battelli della tratta: I thought I might possess the Africa of my dreams. Un’amicizia fra donne impegnate e di temperamento. Destinata a non restare sempre come le placide acque dello stagno di Pontlevoy: «La nostra amicizia è durata oltre 40 anni e ci siamo sempre amate profondamente. Ma non sono mancate le liti, intense come quelle fra una madre e una figlia. Così, ogni volta, quando la ritrovavo di persona, sul momento, non sapevo mai esattamente se mi avrebbe baciato o dato uno schiaffo. È stato così fino alla fine», racconta ridendo.

Un’amicizia in cui, per un’altra stranezza, mise lo zampino implicitamente pure l’Italia, che fu un po’ per entrambe una “testa di ponte” in direzione dell’Europa. Barbara Chase-Riboud approdò nel Vecchio Continente, ancora 18enne, come borsista a Roma della American Academy. Un soggiorno nella Città eterna del cattolicesimo durante il quale intraprese, avventurosamente, pure il suo primo viaggio in Africa, artisticamente decisivo. Per quanto riguarda Toni Morrison, all’anagrafe Chloe Ardelia Wofford, l’Italia fu innanzitutto un riferimento spirituale: a 12 anni, convertendosi al cattolicesimo, prese il nome di battesimo Antony, in onore di sant’Antonio da Padova. Dall’università in poi, quel nuovo nome un po’ italiano divenne per sempre Toni, un po’ all’italiana. Dal canto suo, Barbara Chase-Riboud ha a sua volta sempre mantenuto un legame con l’Italia, Paese scelto pure per fondervi le proprie sculture monumentali. A pensarci bene, per due americane che hanno “toccato” l’Europa pensando all’Italia, la Francia, che sta in mezzo, era forse destinata a divenire un punto d’incontro ideale.

“Monumentale. The Bronzes” è il titolo di una vasta retrospettiva che la Pulitzer Arts Foundation ha dedicato lo scorso inverno, a St. Louis, alle sculture giganti di Chase-Riboud, messe di recente sinotticamente a confronto, in Europa e in America, pure con le opere di Alberto Giacometti. Ma l’artista ama l’aggettivo “monumentale” pure per descrivere con emozione la sua vecchia amica, insignita proprio del Pulitzer, nel 1988, per il celebre romanzo “Beloved”: «Toni era un monumento ed era monumentale». Dopo l’indimenticabile estate del loro incontro fra le radure a ridosso della Loira, Chase-Riboud si mostrò sensibile agli incoraggiamenti dell’amica, divenendo romanziera nel 1979 con “Sally Hemings”, bestseller planetario uscito in Italia con il titolo “La Virginiana” (Rusconi, 1982): la storia di un’americana nera dal destino storico. Ma conviene pure notare che, per una curiosa coincidenza, quando s’incontrarono per la prima volta nel 1974, Toni Morrison aveva appena pubblicato il proprio secondo romanzo, “Sula”, dedicato proprio all’amicizia fra due americane di colore. Accomunate pure dal fatto d’aver infranto fin da giovani non pochi tabù e barriere razziali nei rispettivi campi, le due amiche hanno spesso dedicato il proprio lavoro al tema della memoria e dei diritti civili. Inutile rievocare qui il percorso di Toni Morrison. Per quanto riguarda Chase- Riboud, fra le sue opere più note figurano le 20 “steli” del ciclo dedicato a Malcolm X, create a partire dal 1969. Non a caso, le due donne hanno fra l’altro vissuto con profonda emozione l’arrivo alla Casa Bianca di Barack Obama.

Sull’estate 1974 a Pontlevoy, Barbara Chase- Riboud ci mostra pure un altro poema dedicato a Toni Morrison, intitolato Chloe, pubblicato nel 2014. Una composizione satura di ricordi, fin dal primo verso che rievoca significativamente i rispettivi figli: Little brown boys playing in the sun. Poi, la scultrice estrae una foto: siamo nel 1993, a una serata di gala all’Ambasciata degli Stati Uniti a Parigi. A posare sono 4 artiste americane nere di fama. Da sinistra, la fotografa Carrie Mae Weems (1953) e la pittrice Mary Lovelace O’Neal (1942). Poi, le due amiche di Pontlevoy, entrambe di nero vestite: Barbara e la ‘monumentale’ Toni. Ma quest’ultima, stranamente, è la meno sorridente del gruppo. Come se avvertisse qualcosa d’insolito nell’aria, in quel 1993 che diverrà l’anno del suo Nobel: il primo andato a una scrittrice americana di colore. Anche per la Loira e per Parigi, tenendosi in equilibrio su una corda d’amicizia, è dunque transitata la speranza di vedere un giorno ogni fosca eredità dell’era “triangolare” soppiantata da un nuovo cammino alberato verso un dolce domani.

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