mercoledì 20 luglio 2022
A Santa Maria La Fossa, nelle terre dove imperava il boss Francesco Schiavone, i rifiuti e i fuochi hanno lasciato il posto a coltivazioni per prodotti bio e compostabili
È infestante come la camorra ma il cardo ha cambiato tutto
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Decine di ettari di fertile terra campana, finiti in mano a Francesco Schiavone “Sandokan”, uno dei più potenti capi del clan camorrista dei “casalesi”, poi sfregiati da migliaia di tonnellate di rifiuti. Oggi sono una distesa di alte piante dai fiori rosa e azzurro, gli spinosi cardi. Sì, proprio quelli citati da Carducci nella famosissima “Davanti a San Guido”. Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo / Rosso e turchino, non si scomodò: / Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo / E a brucar serio e lento seguitò. L’asin bigio è il simbolo dell’indifferenza di fronte al progresso. Qui invece nelle terre riscattate dalla camorra e dal degrado, il progresso è protagonista, proprio grazie al cardo. E all’impegno dei giovani di due cooperative casertane, Coopventuno e Terra Felix.

Da “terra dei fuochi” e di Gomorra a terra del rispetto per l’ambiente e la legalità, che dà lavoro vero e doppiamente pulito, economia circolare. E proprio partendo dal cardo, pianta infestante ma piena di risorse preziosissime. Anche la camorra qui era infestante, occupando terre e aziende agricole, in particolare allevamenti bufalini, addirittura quella della Cirio di Cragnotti, l’enorme Balzana, più di 200 ettari con un vero borgo agricolo, tutto confiscato, “disinfestato”. Invece grazie al cardo nascono sacchetti compostabili, bioerbicidi, biometano e funghi biologici. E qui si fa educazione ambientale e alla legalità, con tante scuole, associazioni, gruppi. Siamo a Ferrandelle, nel comune casertano di Santa Maria La Fossa, terra della camorra imprenditrice. Qui, per sei anni, tra il 2008 e il 2014, su trenta ettari di splendido terreno agricolo confiscato al boss Francesco Schiavone “Sandokan”, sono state ammassate a cielo aperto 600mila tonnellate di rifiuti solidi urbani, decine di “colline” recintate e sorvegliate dai militari.

Un operatore della coop «Terra Felix»

Un operatore della coop «Terra Felix» - .

Di quella assurda storia restano ancora le piazzole di cemento e i cartelli gialli con le scritta “Area di interesse strategico nazionale - divieto di accesso”, proprio come una base militare, mentre era solo monnezza. Dopo la confisca definitiva, quei terreni erano stati abbandonati per anni. Il primo utilizzo era stato proprio per i rifiuti, per evitare il collasso definitivo del sistema, quando le strade di Napoli e della regione erano pieni di cumuli di rifiuti. Sito di stoccaggio provvisorio, era stato definito, inizialmente per 350mila tonnellate, poi diventate 600mila, tra un via vai di ruspe e il volo di migliaia di gab- biani reali, attirati dal cibo in abbondanza. Non solo Ferrandelle. Questa area tra i comuni di Santa Maria La Fossa e San Tammaro era ed è ancora piena di discariche, per circa 6 milioni di tonnellate. Dal 2017 proprio qui è nata una storia di cambiamento, legalità, e economia green. È un progetto che vede la partecipazione delle due cooperative, in collaborazione con Agrorinasce la società consortile tra Regione Campania e alcuni comuni casertani per la gestione dei beni confiscati.

Coopventuno è una startup per la rivendita di prodotti ecologici e compostabili (dai bioshopper ai prodotti per l’agricoltura a quelli usa e getta per la ristorazione) nata dall’idea e dall’impegno di alcuni giovani tra i quali Massimiliano Noviello, figlio dell’imprendito- re di Castel Volturno, Domenico Noviello, per tutti Mimmo, che nel 2001 aveva denunciato e fatto arrestare e condannare gli emissari del clan dei “casalesi” venuti a chiedergli il pizzo. Dopo sette anni, il 16 maggio 2008, arrivò la terribile vendetta, perché la camorra non dimentica chi ha “osato” dire di no, ma anche perché Mimmo era stato lasciato solo. Era la stagione “stragista” condotta dal gruppo di Giuseppe Setola, 17 morti in sei mesi per rivendicare il controllo del territorio creando terrore. Ma quella morte non è stata vana, perché il coraggio e la voglia di una società civile fondata sulla legalità e sul lavoro onesto continua oggi a vivere nella cooperativa sociale. Perché anche i gli shopper, i sacchetti, sono un affare per la camorra che impone i propri ai commercianti. Basti pensare che solo in Campania vengono prodotti 1,3 miliardi di shopper illegali per un valore di 42 milioni di euro e un’evasione dell’Iva di 9 milioni. Coopventuno da sola commercializza ogni anno mezzo milione di bioshopper.

Il passo successivo lo ha fatto la Cooperativa Sociale Terra Felix, spin off di Legambiente Geofilos, il bravissimo circolo dell’associazione ambientalista di Succivo, fortemente impegnato sul fronte del ripristino della legalità ambientale, dell’educazione e dell’economia circolare. Così dopo la commercializzazione dei bioshopper si è passati alla coltivazione dei cardi, su 7 ettari anche questi confiscati a “Sandokan”. I semi di questa pianta sono poi venduti alla Novamont per produrre l’olio, componente del Mater-Bi, il materiale col quale vengono realizzati proprio i sacchetti compostabili. E dal cardo si estrae anche l’acido pelargonico che è un erbicida naturale sostituto del glifosato, uno degli erbicidi chimici più diffusi e discussi per l’impatto sull’ambiente e la salute. Inoltre, quella del cardo è una coltura “no food”, adatta a terreni come questi di Santa Maria La Fossa, che potrebbero essere inquinati dai rifiuti. Non è dunque terra tolta alle colture alimentari ma recupero di territori degradati. Nel primo anno, il 2019, sono state raccolte 3,5 tonnellate di semi, gli anni successivi circa 3 tonnellate, che, come detto, vengono venduti a Novamont grazie a un contratto di filiera. Una coltura, quella del cardo, che richiede pochissimi interventi. La pianta non ha bisogno di irrigazione, si parla infatti di “aridocoltura”, e dura ben sei anni continuando a produrre fiori. Ma anche dopo continua a essere utile.

I nove soci della Terra Felix stanno, infatti, sperimentando nuove iniziative. La produzione di biometano dal fusto del cardo e di farine/mangimi per gli allevamenti bufalini utilizzando la parte non oleosa dei semi, in sostituzione della farina di soia, una pianta che richiede molta acqua e in gran parte importata. Da settembre, invece, inizierà la produzione di funghi cardoncelli, coltivati in una lettiera realizzata con le piante del cardo, come avviene in natura dove il fungo fruttifica sulle radici morte della pianta da cui ha preso il nome. La sperimentazione è andata bene, sono stati prodotti 4 quintali di funghi, in parte trasformati (sottolio, patè, secchi) e in parte venduti freschi ai grossisti a 7-8 euro al chilo. Ed è stata anche occasione di educazione ambientale, coi bambini interessatissimi alla nascita e crescita dei funghi.

Ora, sempre su un terreno confiscato, grazie a un contributo della Regione, si realizzerà una serra per la produzione. Ma non ci si vuole fermare qui. “Vorremmo diventare un centro di sperimentazione sui cibi del futuro, per nutrire una popolazione che cresce ma facendolo a basso impatto ambientale”, spiega il sogno molto concreto Francesco Pascale, fondatore insieme ai fratelli sia del circolo Geofilos sia di Terra Felix e socio anche di Coopventuno. Infine il fiore del cardo è molto apprezzato dalle api, quindi favorisce la biodiversità e il miele prodotto è di altissima qualità. Davvero il cardo qui è simbolo di cambiamento e di progresso. A pochi chilometri c’è La Reale Tenuta dei Borbone di Carditello, chiamata così perché il territorio si presentava infestato della pianta di cardo, tanto da formare una barriera per chi voleva inoltrarsi a piedi o a cavallo. Giudizio negativo, dunque. Ma se ora questa terra non è più infestata dalla camorra, l’infestante naturale è invece parte concreta del cambiamento.

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