sabato 27 aprile 2013
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"State attenti, questa è una guerra fra due ci­viltà, fra due identità, fra due culture: quel­la fra l’ultimo Stato laico del mondo arabo e l’in­tegralismo religioso di al-Qaeda". Parole che in al­tre circostanze avremmo assegnato a qualche think thank della costa atlantica o a qualche intellettua­le islamico moderato, non fosse che a pronunciarle è stato Omran al-Zoubi, ministro dell’Informazio­ne di Damasco. E sono parole più taglienti di una lama; anzi, l’autentica spina nel fianco della Casa Bianca, soprattutto da quando – con il sospetto l’utilizzo di gas nervini sul campo di battaglia – sembra sia stata oltrepassata la famigerata 'linea rossa': il limite al di là del quale Bashar al-Assad non può spingersi senza che l’amministrazione O­bama lo consideri un palese game-changer, un cambio di passo che impone un intervento diret­to degli Stati Uniti.E proprio qui sta il dilemma, che insieme rischia – purtroppo – di diventare un copione già noto. Po­tremmo chiamarlo la 'sindrome Colin Powell', ri­cordando il discorso che nel febbraio 2003 l’allora segretario di Stato di George W.Bush fece di fron­te al Consiglio di Sicurezza dell’Onu esibendo le prove documentali dell’intelligence americana sul­le violazioni alla risoluzione 1441 del Palazzo di Vetro, che vietava a Saddam Hussein il possesso di armi biologiche e biochimiche di distruzione di massa. Armi che, con il senno di poi, si sarebbe appurato che non c’erano (e probabilmente Colin Powell ne era al corrente fino a un certo punto), ma la macchina dell’intervento americano oramai fun­zionava a pieno regime. Non a caso il premio No­bel per l’Economia Paul Krugman è tornato sul te­ma, scrivendo: «Dieci anni fa l’America invase l’I­raq con la scusa delle armi di distruzione di mas­sa (che non c’erano), nonostante molte voci ten­tassero di avvertire i politici che stavano com­piendo un terribile errore».Il puzzle siriano dei nostri giorni è molto diverso da quello iracheno. Assad – che si avvale dell’al­leanza con Mosca e della solidarietà cinese – sa di giocare con il fuoco ed è consistente il sospetto che il sarin (uno dei gas nervini più letali) che l’intelli­gence americana e britannica hanno rinvenuto nel sangue di alcune vittime sia stato deliberatamen­te usato, ma in piccole dosi e in minima parte, per saggiare la reazione di Obama e di Cameron. Pa­rimenti Assad non si stanca di ricordare alle can­cellerie occidentali come la caduta del regime baathista (e alauita) spalancherebbe le porte al peggior integralismo salafita, mutando drastica­mente il volto di una Siria che pur essendo una sa­trapia a conduzione familiare, per almeno qua­rant’anni è rimasta un bastione laico e, a suo mo­do, un’enclave di tolleranza confessionale. Non a caso le persecuzioni nei confronti dei cri­stiani siriaci (chiese bruciate, uccisioni, rapimen­ti, gli ultimi in ordine di tempo quelli dei due ve­scovi ortodossi) sono coincise con l’insurrezione cominciata due anni fa e l’ingresso nel Paese di formazioni di intonazione jihadista che hanno completamente stravolto la fisionomia di una ri­volta che, all’inizio, pareva assomigliare al vento delle primavere arabe che per un po’ ha soffiato dal Maghreb al Golfo Persico. Stretto fra l’incudine di una tragica replica degli errori commessi in Iraq (le stesse agenzie di spio­naggio americane sono in disaccordo fra loro sul­la completa attendibilità dei campioni di sangue con presenza di sarin) e il martello di una desta­bilizzazione dell’area che certo non risparmiereb­be il principale alleato degli Stati Uniti – Israele –, Obama prende tempo. L’Europa stessa, per bocca del suo Alto (quanto evanescente) Rappresentan­te Lady Ashton, attende 'una prova definitiva che per ora non c’è'. La smoking gun, insomma, la famigerata 'pistola fumante' nelle mani di Assad ancora non si è tro­vata. Del resto, rispetto al 2003 è difficile immagi­nare oggi il ripristino di quella Coalizione dei vo­lenterosi che all’epoca allineò 49 Paesi nella guer­ra contro Saddam. Oggi, in Siria, settantamila mor­ti, un milione e mezzo di profughi, una progressi­va pulizia etnica delle minoranze cristiane e un Consiglio di Sicurezza paralizzato dai veti di Mo­sca e Pechino non sono bastati a smuovere l’Occi­dente. Figuriamoci qualche fiala di gas nervino.
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