mercoledì 22 luglio 2015
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Ludovico Caiazza, il giovane assassino del gioielliere di Roma, ha celebrato per se stesso il suo tragico processo per direttissima, dandosi la morte nella cella dove era stato appena rinchiuso. La morte, lui l’aveva sparsa solo un giorno prima, e in modo efferato colpendo selvaggiamente la sua vittima, nel centro della città, in un quartiere tra i più conosciuti.  Nel giorno dei funerali di Giancarlo Nocchia, versare anche una sola lacrima per il suo killer feroce, è parso quasi un oltraggio; come sottrarre qualcosa al pianto per la vittima e contaminarlo con lacrime fuori posto.  Il silenzio e i toni misurati dei familiari, che si son trovati i microfoni a due passi dalla bara, sono stati non solo comprensibili, ma giusti. È bastato, però, allontanarsi appena un poco dall’epicentro di un dolore vissuto in prima persona, per imbattersi in reazioni forse non meno raccapriccianti dello stesso delitto.  (Anche in questo il peggio è venuto dal mondo politico, se politica può mai chiamarsi quella di commenti beceri, messi in fila uno dopo l’altro, fino a concludere che della morte di una persona, seppure di un killer, ci si può dispiacere, «ma non tanto»).  Pensare che sia sprecata anche una sola lacrima per Ludovico, è come prendersi il diritto di segnare il campo e mettere i confini alla misericordia.  Può mai essa arrivare a prendersi cura della vita sprecata di un ragazzo che non ha perso tempo ad aggredire la propria esistenza dalla parte sbagliata? Droga, stupro, furti, il soprannome blasfemo di 'Santo subito' forse a indicare la rotta irreversibile verso il male: che altro per prendere distanze definitive, per autoassolversi di qualche 'basta!', per accompagnare quella forza d’inerzia che spinge inesorabile verso il traguardo del 'c’è un limite a tutto'? E invece no. La misericordia è un pane inestinguibile per tutti. Ce n’è, e avanza, anche per Ludovico, per quella sua vita che l’ha portato, in realtà, a uccidere anche se stesso nel momento in cui uccideva un altro. Niente ha a che fare, con la pietà che gli si deve, il profilo sociologico del giovane disadattato, caduto, come tanti altri, nella rete del disagio e delle emarginazioni.  La misericordia non vuole per sé nessuna 'pezza d’appoggio'. Non ne ha bisogno. Non sa che farsene perché proprio gli abissi degli uomini sono la sua terra spianata. Per Ludovico resta solo da prendere atto che il vortice del male l’ha preso in pieno, fino a presentargli, nel giro di ore, un conto finale che non è solo per lui: il male non può che riprodurre, aggravare se stesso, spingersi fino ai limiti dove l’umanità, come in un mare profondo, non riesce a toccare terra, ad 'avere piede'. La misericordia è territorio del cuore.  Viene in mente, e come non potrebbe, la predicazione, anzi il pontificato di Francesco, fin da quel primo Angelus da Piazza San Pietro, quando il Papa aprì il capitolo tutto suo, e sempre in corso, della misericordia di Dio che «non si stanca mai di perdonare».  Ludovico ha saltato, drammaticamente, i conti con la giustizia. Ora a inseguirlo – e senza scampo, direbbe papa Francesco – è solo lei, la giustizia di Dio che è spirito di misericordia.
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