sabato 16 marzo 2019
Un lettore torna con profondità su un tema cruciale. Ma la profezia biblica è unica perché nasce dal rapporto con la Voce di Dio eppure resta voce umana: sta qui il mistero e la forza.
Basilica di Aquileia - Giona ingoiato mostro marino

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Gentile direttore,
innanzitutto complimenti al professor Luigino Bruni per gli articoli a tema biblico che offre a noi lettori di “Avvenire”. Mi interesso particolarmente, e a questo ho dedicato i miei studi universitari, della relazione filosofia-psicologiateologia, considerando la necessità di tale relazione e che essa possa proprio fondarsi su una antropologia biblica. Vorrei condividere con il professore considerazioni fatte leggendo l’articolo di domenica 10 marzo, «Poggiati sull’albero della vita». Giustamente Bruni scrive: «La forza della verità della profezia sta nella sua fonte. Il vero profeta, diversamente dal falso profeta, fonde la sua legittimazione nella voce vera che gli parla (...)». Aggiunge che la dimensione predittiva è importante ma non essenziale: per esempio, Ezechiele e Giona hanno anche annunciato distruzioni non avvenute. E poi indica che anche Cristo ha annunciato un regno delle beatitudini che stiamo, insieme al Suo ritorno, aspettando. Qui, però, mi permetta due considerazioni: quanto annunciato da Ezechiele e da Giona non è avvenuto, mentre quanto annunciato da Gesù, il suo ritorno e l’instaurarsi del suo Regno, evento di gran lunga più importante per l’intera umanità, non è ancora avvenuto; e, per il credente, non potrà non avvenire. Un credente che non creda in questo, che anzi non sia certo che Dio non «cambierà idea», non può dirsi credente, essendo un caposaldo della fede cristiana. Pertanto, non si tratta di una profezia errata o “ritrattabile”, anche perché la parola di Dio «non torna a me a vuoto, senza aver compiuto ciò che io voglio e condotto a buon fine ciò per cui l’ho mandata», com’è scritto in Isaia. In merito a questo, dunque, bisognerebbe forse concludere che, pur se certo la priorità del profeta è di essere coscienza critica per il popolo (in tal senso compito anche della Chiesa), un profeta è pur sempre un uomo, con i suoi limiti: se annuncia qualcosa che non avverrà è semplicemente perché ha ascoltato la sua voce interiore confondendola con quella di Dio (quindi in assoluta “buona fede”), sovrapponendo il piano psichico a quello spirituale, perché Dio parla allo spirito dell’uomo, il quale comunica poi quanto ricevuto alla psiche (la tripartizione paolina, riverbero della Trinità, spirito-animacorpo, non sempre è tenuta in considerazione dai credenti, anche colti), e saper distinguere quanto indica lo Spirito Santo alla spirito dell’uomo da quanto invece proviene dalla sua stessa psiche è proprio dei credenti spirituali contrapposti ai carnali (psichici). Ovviamente, non direi mai che un vero profeta è un credente carnale, ma attribuirei alla sua umanità (lo spirito è pronto, ma la carne è debole), con i suoi limiti, gli errori “previsionali”, e non a Dio. Sperando di aver fatto considerazioni pertinenti e interessanti, la ringrazio e porgo i più cordiali saluti.

Emanuele Mastrandrea Reggio Calabria

Grazie, gentile dottor Mastrandrea per la sua lettera. Il tema da lei sollevato è molto importante, e presenta una notevole complessità. Le previsioni dei profeti che non si realizzano sono faccende importanti, che hanno a che fare, tra l’altro, con la distinzione tra veri e falsi profeti. In particolare, nell’Antico Testamento la natura specifica della profezia si distinse progressivamente da quella dei veggenti, che erano figure arcaiche presenti anche nelle prime fasi della storia di Israele (vedi Samuele, che in un certo senso fu la cerniera tra gli ultimi veggenti e i primi profeti). I veggenti – figure simili agli indovini e aruspici egiziani e cananei – erano gli esperti della previsione e su questa loro capacità si fondava la loro reputazione. La profezia nasce da questa tradizione arcaica e diventa qualcosa di molto diverso, che inizia a sganciare la verità della profezia dalla veridicità delle previsioni. Quando un profeta dice: “Così dice YHWH”, quando usa il virgolettato di Dio, non è semplicemente un uomo che fa previsioni sul futuro, altrimenti dovremmo dire che tutta la profezia biblica non è altro che speculazione teologica ed etica dei profeti. I profeti fanno invece una esperienza uditiva, ascoltano una Voce, e poi riferiscono. È questo rapporto con la Voce che li caratterizza, e fa della profezia di Israele qualcosa di unico per natura, durata e qualità. Al tempo stesso, la parola dei profeti continua a essere anche parola di uomini (è questa “duplicità” di natura e “unicità” di persona che costruisce il suo mistero), e quindi, in quanto tali, fallibili. Di certo dunque possono sbagliare, ma se entriamo su questo terreno scivoloso riduciamo l’intera profezia a fenomeno psicologico e uomini, magari un poco esaltati (vedi Ezechiele). E sarebbe molto riduttivo liquidare un profeta come falso o come “solo uomo” quando sbaglia previsione, perché molti profeti autentici hanno sbagliato previsioni pur restando profeti veri. E quindi la nostra fatica sta nel prendere come parola biblica ispirata anche quella parte dei libri profetici che contengono parole su previsioni che non si sono avverate, e dobbiamo trovare dentro queste parole i loro messaggi ancora veri e validi per noi oggi. La Bibbia ha bisogno di noi lettori, per tenerla viva e generativa. Un caro saluto, e ancora grazie.

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