martedì 18 luglio 2023
Per anni definito il "malato dell'Asia", oggi il Paese appare economicamente più dinamico di altre potenze regionali. Ma la ripresa non riesce ancora a toccare le comunità più povere
Tramonto a Manila, la capitale delle Filippine, Paese in ripresa economica dopo il Covid

Tramonto a Manila, la capitale delle Filippine, Paese in ripresa economica dopo il Covid - Reuters

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Forse non è un boom ma sicuramente gli assomiglia. Nelle Filippine il turismo sta mostrando di essere uno dei principali motori di ripresa nel postpandemia con un limite solo nelle capacità delle compagnie aeree di garantire a milioni di viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo un passaggio verso l’assolato arcipelago. A partire dagli stessi asiatici, che nelle Filippine hanno sempre visto, oltre a isole e spiagge spettacolari e alle possibilità di svago, una realtà diversa e “esotica” per il loro carattere e la loro storia, ma anche una meta tra le più economiche del continente. Risultato: dopo un incremento del 38% nel valore del turismo straniero dal 2021 al 2022, per il 2023 è previsto che il turismo (con i cinesi tornati protagonisti) possa contribuire fino all’8% del Pil contro il 6% dello scorso anno. La speranza e l’impegno è che la ripresa sia prossima e con essa il riconoscimento di uscita dal sottosviluppo per una nazione di 110 milioni di individui, per decenni bollata come “malato dell’Asia”.

Nei fatti, e tenendo conto anche della situazione precedente il riconoscimento della pandemia da Covid-19, l’arcipelago ha risentito in modo relativo delle sue conseguenze (che non possono ovviamente ignorare le tragedie individuali e familiari, un ulteriore impoverimento di molti e un divario di reddito e possibilità ancora più accentuato) e ha in compenso acquisito sensibilità e potenzialità nuove. Oltretutto, l’uscita dal tunnel pandemico ha coinciso con l’inizio di una nuova presidenza, quella di Ferdinand Marcos Jr che, se a molti ha richiamato alla memoria sofferenze e arbitri della dittatura del padre Ferdinand Marcos, gestore della legge marziale dal 1972 al febbraio 1986, ha portato a prospettive rinnovate di apertura agli investimenti stranieri, di possibilità di lavoro e crescita, di una rilanciata tutela statunitense sul piano militare e strategico senza rinunciare – per quanto il contenzioso sulle aree di competenza reclamate nel Mar cinese meridionale possa permetterlo – agli stretti rapporti commerciali con la Repubblica popolare cinese.

Economicamente le Filippine appaiono ora più dinamiche e stabili rispetto ad altre piccole potenze regionali, come Thailandia, Malaysia e Indonesia in cui il post-Covid è ancora un tempo incerto e dalle prospettive complicate dalle situazioni politiche o di governo. Per tutti e per molti altri, va detto, il rallentamento della Repubblica popolare cinese, principale partner economico, rappresenta una preoccupazione e una incognita. L’imposizione di drastiche chiusure alle comunità e agli spostamenti, in un paese fortemente interessato dalla diffusione del Covid-19, con 66.484 morti e 4.165.499 casi registrati, non poteva non avere conseguenze, ma complessivamente l’incrocio dei dati ha mostrato che a influire, ad esempio sul piano commerciale, non sono state le misure di contenimento interne, quanto quelle dei partner internazionali, arrivate a condizionare importazioni ed esportazioni finanche a dimezzarle da un mese all’altro nella fase più acuta del contagio.

Se i fondamentali economici stanno oggi tenendo è per la resilienza dell’export e per le rimesse degli emigranti. Queste ultime non hanno conosciuto una flessione, anzi proprio durante la pandemia hanno superato nuovi record e nel 2022 la ricchezza prodotta dai migranti ha superato i 36 miliardi di dollari, arrivando all’8,9% del Pil. Oggi il Paese cerca di contrastare la debolezza del peso filippino, l’alta inflazione e la Borsa debole, sul piano sociale la situazione è composita, aperta anche a modifiche in positivo dei paradigmi tradizionali. In particolare in tre ambiti: salute, prerogative e ruolo delle donne, coesione sociale. Sondaggi condotti in collaborazione tra enti stranieri e dipartimento per il Benessere sociale e lo sviluppo hanno fatto emergere risultati incoraggianti riguardo le modalità di risposta in tempo di pandemia e di programmi a sostegno delle comunità più povere e vulnerabili. In parallelo con una migliore possibilità di previsione e di aiuto, la situazione dovuta all’esplosione dei contagi da Covid-19 ha peggiorato significativamente le opportunità di reddito. Ha anche evidenziato come durante la pandemia le comunità meno favorite abbiano subito una prolungata scarsità di cibo associata a problemi riguardanti la salute, l’igiene, il lavoro e lo studio.

Non sorprende, dato che al culmine della pandemia, nell’agosto 2020, rispetto al 2018 si sia registrato un calo dei posti di lavoro nell’edilizia del 56% e nei trasporti del 52%, con pesanti riduzioni anche nelle attività a tempo parziale o saltuarie. Il settore agricolo ha visto nel periodo una riduzione della forza lavoro del 70% nell’agricoltura organizzata e del 61% in quella su piccola scala. Una situazione che già nove mesi dopo registrava qualche miglioramento, soprattutto nella vendita al dettaglio, mentre la ripresa nell’edilizia e nel trasporto pubblico è stata più lenta e a tutt’oggi ancora non ai livelli pre-Covid. Sul piano della sicurezza e dei conflitti sociali, il lungo tempo della pandemia ha portato insieme maggiore coscientizzazione e potenzialità. Il 74% delle comunità di vario livello ammini-strativo non ha segnalato problemi di sicurezza, ma all’esaurirsi del fenomeno pandemico questi sono tornati ad affacciarsi in un Paese inquieto dove la popolazione è abituata a dovere contare anzitutto sulle proprie risorse e sulle reti informali.

Sicuramente l’insicurezza occupazionale ha giocato un ruolo, come pure la convivenza forzata in ambiti ristretti o di non facile vivibilità. Si è così creata una situazione “a macchia di leopardo”, con aree in cui la presenza di discriminazioni sul piano del lavoro, dei benefici concessi, delle possibilità esistenziali connesse con la diffusione e la gestione del Covid-19 sono state molto limitate, e altre dove queste hanno fatto da sfondo a violenza domestica, abusi e sfruttamento sessuale. Come denunciato da fonti indipendenti per le aree dell’Autonomia musulmana nel Sud del paese, dove l’incrocio dei dati di polizia, mass media e Ong ha evidenziato un significativo incremento della violenza di genere. Comunque, le donne hanno subito maggiormente perdita di lavoro e di reddito, qualificandosi per un maggiore sostegno nel post-pandemia. « I risultati dei sondaggi mostrano con chiarezza quanto le comunità rurali povere e vulnerabili siano colpite dall’impatto economico del Covid-19. Guardando oltre, speriamo che i preziosi approfondimenti della situazione e della percezione delle comunità possano aiutare a individuare politiche mirate come pure programmi di risposta e di recupero», sottolinea l’esperta in sviluppo sociale della Banca mondiale Ditte Fallesen.

Restano infine da valutare quali saranno gli insegnamenti recepiti dalla politica e dal governo di Manila. La gestione della crisi ha evidenziato come il processo di delocalizzazione dei servizi pubblici, di decentralizzazione burocratica e delle risorse possano essere di beneficio nelle emergenze e vadano incentivati, come pure sia necessario un balzo in avanti in termini di investimenti e tecnologie nella produzione e distribuzione energetica e in generale nello sviluppo di infrastrutture. La transizione ecologica nei suoi vari aspetti, forse più qui che altrove non può non tenere conto della quantità dei bisogni oltre che della qualità della vita e dell’ambiente e rappresenta sicuramente una sfida a cui soltanto un miglioramento dei conti pubblici ma anche della capacità di spesa dei filippini potrà rispondere in modo determinante.

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