Il «Sure» diventi permanente per il rilancio post-pandemia
giovedì 11 novembre 2021

Gentile direttore,

è passato appena un anno dall’acceso dibattito politico, stile calcistico: Mes 'sì', Mes 'no'. Analizzando i risultati positivi ottenuti dall’Italia e dall’Europa con il Programma Sure, uno strumento temporaneo di supporto alla mitigazione dei rischi legati alla disoccupazione durante l’emergenza sanitaria, mi auguro che adesso i Paesi 'sovranisti' e quelli 'frugali', a lungo reticenti sulla nascita di questa misura, riconoscano il merito di chi la sostenne sin dall’inizio, ovvero le forze politiche europeiste, convinte che le difficoltà sociali e in particolare quelle occupazionali potessero essere affrontate solo unendosi.

Dobbiamo essere orgogliosi che l’Unione Europea abbia compiuto un passo in avanti e abbia optato con coraggio per una politica solidaristica. Per la prima volta in tempo di crisi e dopo vent’anni di sola stabilità macroeconomica e di rigore di bilancio, l’Unione ha messo al centro la dimensione sociale, rifiutando di aggrapparsi a quell’austerità che ha generato disastri ancora oggi evidenti e di cui il Mes rappresenta, a mio parere, uno strumento.

La condivisione del debito pubblico per arginare gli effetti della pandemia è iniziata con l’avvio di Sure, una delle grandi intuizioni della 'nuova Europa' che il MoVimento 5 Stelle ha sempre voluto. E che Sure sia stata una carta vincente, lo dimostra prima di tutto la nascita del piano Next Generation EU. Considero infatti questa misura il seme che ha permesso di far germogliare uno dei programmi più ambiziosi che siano mai stati concepiti finora dopo il Piano Marshall. Sure ha funzionato sin dal suo debutto quando, lo ricorderete, la prima tranche da 17 miliardi di euro ha ricevuto domande di acquisto superiori a 13 volte l’offerta disponibile. Si è rivelato, dunque, uno strumento che ha generato fiducia, perché l’Europa ha dimostrato di essere coesa e solidale, pronta a intervenire senza esitazioni e senza lasciare spazio agli egoismi, a favore dei soggetti più deboli. Milioni di cittadini europei chiedevano da un decennio piani ambiziosi come Sure o il Recovery Plan.

L’Europa non ha ancora sconfitto del tutto il Covid-19. E la misura, che resta emergenziale, deve essere finanziata fino a quando non saremo usciti completamente dalla crisi pandemica e sociale. Nonostante le forti resistenze dimostrate da una parte della Commissione europea, sto portando avanti la battaglia, insieme ad altre forze politiche, per stabilizzare questo strumento in una prospettiva post- pandemia per trasformarlo in permanente e strutturato.

«Un anno di Sure», è il titolo della seconda relazione semestrale presentata questa settimana dalla Commissione al Parlamento europeo: i dati pubblicati sono incontrovertibili. Un lavoratore europeo su quattro ha beneficiato di Sure, un numero enorme pari a 31 milioni di lavoratori, di cui 22,5 milioni dipendenti e 8,5 milioni autonomi. Siamo riusciti a proteggere un milione e mezzo di posti di lavoro e sostenuto 2,5 milioni di aziende, la gran parte piccole e medie imprese. Abbiamo di fatto scongiurato un collasso economico e sociale che mesi di lunghe restrizioni e limitazioni avrebbero potuto causare al Paese e alla Ue. I vantaggi di Sure sono molteplici. L’Italia che ha ricevuto in totale 27,4 miliardi di euro di prestiti agevolati, è riuscita a ottenere un cospicuo risparmio di risorse pubbliche, pari a 3,76 miliardi di euro di interessi, ma anche a scongiurare una lotta fratricida con altri Stati membri, per collocare sul mercato nuovi titoli di debito pubblico, che avrebbe solo accresciuto spread e tassi d’interesse.

Tra presente e futuro: Sure può continuare a essere un ingranaggio indispensabile per la crescita e il benessere di tutti i cittadini europei. La Commissione europea ha stimato che 16 Stati su 19 hanno già speso gli interi importi erogati o hanno programmato la spesa delle risorse ottenute. Una cifra stimata in 94 miliardi di euro sui 100 disponibili, dimostrando grande capacità di assorbimento da parte di tutti gli Stati Membri. Non a caso, 6 Paesi hanno già chiesto un sostegno supplementare e integrativo. Ma il dato più significativo riguarda il confronto con il 2008, quando la crisi economico-finanziaria aveva avuto, sì, un minor impatto sul Pil, ma aveva generato una fortissima disoccupazione, quasi il 3% in più. Grazie al Sure, nel 2020 la riduzione dei posti di lavoro è stata limitata allo 0,2%.

Ora dobbiamo farci trovare pronti per scrivere una nuova pagina, quella in cui strumenti sociali, a partire da Sure, vengano concepiti come progresso politico-sociale e che l’eccezione diventi la regola, soprattutto, perché dinanzi a una crisi come questa lasciarsi alle spalle gli impatti sanitari, sociali ed economici richiede tempo. È un cambio di approccio e di paradigma all’interno dell’Unione.

Deputata europea M5s

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: