Il supplemento che servirebbe
mercoledì 21 giugno 2023

L’iniziativa della Procura di Padova, che ha impugnato l’iscrizione dei figli di doppia madre nei registri di nascita, avvenuta fin dal 2017, ha suscitato clamori, reazioni, dissenso. La questione è seria, e ha spessore etico e umano che esige qualche precisa nozione, prima di giudicare per emozioni. Nozioni sullo specifico e sui fondamentali.

Uno, non è un’indagine, ma un’azione civile. I registri stanno lì scritti e firmati. Qui la Procura esercita il ministero pubblico; e il pubblico ministero (copio le parole della legge) «veglia alla osservanza delle leggi, alla pronta e regolare amministrazione della giustizia, alla tutela dei diritti dello Stato, etc.»; e per questo «esercita l’azione civile ed interviene nei processi civili nei casi stabiliti dalla legge»; e ancora «esercita la vigilanza sul servizio dello stato civile». Perché lo stato civile definisce l’identità, mia e tua e di ciascuno qual è, e l’identità è il vero che dev’esservi scritto. Non spetta al sindaco deciderlo, ma neanche al prefetto o al ministro. E neanche a una Procura: se sorge questione è il giudice che decide. Naturalmente secondo legge.

Due, secondo legge vuol dire che un po’ di legge bisogna masticarla tutti, prima di fare confusione. E sapere ad esempio che non esiste una omogenitorialità indifferenziata, ma due spicchi differenti (bimaschile o bifemminile) di differente rilievo; e che per un altro verso (nelle vicende di maternità surrogata) la legge non fa questione di omo o di etero, trattando tutti esattamente alla stessa stregua.

Tre, conviene dunque riassumere qui lo stato dell’arte, dal momento che i processi e le sentenze sulle iscrizioni anagrafiche di bambini nati attraverso i plurimi artifici hanno riempito le cronache giudiziarie e i commenti della dottrina. Lo faccio qui non con le mie parole, ma con le parole stesse della giurisprudenza attestata sui vertici dell’autorità interpretativa (Cassazione a sezioni unite) e del giudice ultimo delle leggi stesse (Corte costituzionale). La legge italiana dà accesso alla procreazione medicalmente assistita alle sole coppie etero, coniugate o conviventi.

In alcuni Paesi stranieri invece il figlio può essere dato a due madri (la donna che lo partorisce e la compagna che ha dato l’ovocita); o a due maschi, (a chi ha dato il seme, e al suo compagno) per maternità surrogata. Se il figlio nasce all’estero e secondo quella legge straniera ha due madri oppure due padri, l’Italia dove il figlio è ricondotto per essere trascritto deve affrontare il problema di diritto internazionale (riconoscimento di atti stranieri) e di diritto interno (compatibilità col proprio ordinamento). Il criterio decisivo è la contrarietà o meno all’ordine pubblico, come compendio essenziale della propria civiltà giuridica.

Così si spiega perché un figlio nato all’estero e sotto la legge straniera dato figlio a due donne (l’una donatrice dell’ovocita, l’altra gestante) può aver avuto da noi una trascrizione legittima, poiché il pur diverso legame biologico con entrambe rende la decisione straniera non in contrasto decisivo con l’ordine pubblico. Fermo restando che se il figlio nasce in Italia, la legge italiana vieta il doppio riconoscimento (Cassazione n. 8029/2020). E così si spiega anche perché la doppia paternità attribuita all’estero, persino con sentenza giudiziale, su un figlio partorito da donna cui viene contrattualmente sottratto, non è mai riconoscibile da noi. E non importa che siano due maschi, o due femmine, o una coppia etero. È che la maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane…». Parole della Consulta, ancora brucianti nella riproduzione conclusiva delle Sezioni Unite della Cassazione del 31 dicembre scorso.

Vero è che se un genitore artificiale cessa d’esser genitore legale vuol dire che il figlio perde quel legame giuridico, e questo può esser contrario al suo interesse. Cercare rimedio è doveroso. Ma per piacere che sia per il bene del figlio, e non l’ennesimo utilizzo del figli o come scudo e indulto a scelte soggettive di egocentrica rivendicazione. Ciò che ha fatto già orfano il figlio, togliendogli il padre o la madre di cui è figlio, è l’averlo di proposito fatto nascere privo di un genitore naturale. Di questo egli è vittima. Risarcirlo con l’adozione speciale è il minimo, se è il suo bene. Ci vorrebbe forse anche altro supplemento di impegno etico, appassionato più che alla legalità possessiva a un amore totalmente oblativo.

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