La buona notizia è che la politica passa ancora attraverso i libri, quella meno buona è che per accorgersene bisogna impegnare un bel po’ di tempo a spulciare i social network. Quanto alla notizia cattiva, di sicuro la conoscete già: la polemica infuria attorno al Salone del Libro, che inizia domani a Torino in un clima decisamente tempestoso. Non è la prima volta che accade, d’accordo. Nel 2008, per esempio, a scatenare il dissenso fu la scelta di Israele come Paese ospite d’onore della manifestazione e non più tardi di tre anni fa, nel 2016, fece molto discutere la presentazione di un libro scritto dal segretario della Lega, Matteo Salvini: allora l’editore era Rizzoli e “Secondo Matteo” il titolo, evangelicamente già abbastanza arrischiato. Il tempo passa, la Lega dall’opposizione torna al governo, questa volta in rissosa compagnia dei Cinque Stelle, e Salvini assicura – notizia di ieri – di non avere intenzione di visitare il Lingotto.
Al Salone, in compenso, ci sarà un libro che parla di lui, o in cui lui parla, fa lo stesso: “Io sono Matteo Salvini” (niente, il nome nel titolo deve esserci, se poi c’è anche il cognome meglio ancora), intervista raccolta da Chiara Giannini e pubblicata da Altaforte, sigla dichiaratamente vicina a CasaPound e dotata di regolare stand.
Se ne parla ormai da giorni, da quando il direttore del Salone, Nicola Lagioia, ha inaugurato quella che, abbastanza rapidamente, si è trasformata in una raffica di dichiarazioni e controdichiarazioni, spesso disseminate tra Facebook, Twitter e altre piattaforme. Posto che il catalogo di Altaforte non trova spazio nel programma ufficiale del Salone, è tollerabile che una casa editrice il cui titolare, Francesco Polacchi, si dichiara fascista – salvo smentita, si capisce – venga accolto dalla kermesse torinese?
No, sostengono quanti, dallo storico Carlo Ginzburg al poeta Roberto Piumini, hanno deciso di cancellare la loro partecipazione al Salone. Senz’altro no, ma non per questo è giusto ricorrere al boicottaggio, sostiene chi, come Michela Murgia, non rinuncia a esserci e si organizza per manifestare pubblicamente il proprio dissenso. Quanto a uno dei protagonisti della vicenda, lo scrittore Christian Raimo, si è sì dimesso dal ruolo di consulente del Salone, ma al momento ha confermato la presenza agli incontri già concordati.
Frammentazione del fronte democratico a parte, il nodo da sciogliere resta quello relativo all’apologia di fascismo, che permetterebbe agli organizzatori del Salone di allontanare l’editore incriminato, il cui stand, a ogni buon conto, non sarebbe l’unico sospettabile di nostalgie totalitarie. Va in questa direzione l’esposto che il Comune di Torino e la Regione Piemonte – promotori della Fondazione a cui il Salone fa capo – hanno annunciato nei confronti di Altaforte, mentre l’autrice del libro–intervista minaccia querele.
Dal punto di vista giuridico la matassa è molto ingarbugliata (in assenza di un reato provato, su quali basi un espositore può essere escluso?), ma sul piano politico il messaggio è abbastanza chiaro: qualcuno sta provando a saltare le righe della nostra Costituzione, che proprio per questo andrebbe letta con attenzione rinnovata. Senza quel piccolo libro, anche gli altri – tutti gli altri – avrebbero vita difficile.