mercoledì 21 ottobre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Il contrasto politico sulle "unioni civili" suggerisce una riflessione di ampio respiro, che sappia distinguere le grandi questioni di merito da quelle dei tempi e procedure. Con una premessa necessaria, perché è un errore considerare le divergenze più recenti alla stregua di piccole schermaglie regolamentari per accelerare o ritardare l’iter di proposte di legge, che ancora non convincono e che investono scelte cruciali per la vita collettiva.Queste schermaglie sono la spia di divisioni profonde, tra chi vuole una legge chiara e rispettosa dei diritti fondamentali della donna e dei minori, e chi intende introdurre – pur sotto la bandiera di un qualche progressismo – svolte regressive con formule ambigue, manipolabili in sede giurisprudenziale, e con silenzi normativi che altri poi possono riempire a piacimento.Non è la prima volta che le Carte internazionali dei diritti umani, che nel Novecento hanno suscitato speranze e attese in tutto il mondo, sono utilizzate per far prevalere i diritti dei più forti su quelli dei più deboli, avviando una parabola in cui si mischiano promesse non mantenute, impegni traditi, silenzi clamorosi. Così avviene in tanti Paesi nei quali il diritto di libertà religiosa è negato, violato con il ripetersi di eccidi, persecuzioni violente e sconvolgenti, cui assistiamo spesso con incredulità e impotenza, nel silenzio assordante delle istituzioni internazionali. In Occidente, anche le più solenni dichiarazioni sono insidiate dalla cultura del relativismo assoluto, quando sostiene che i diritti umani non sono universali, ma frutto di una civiltà estranea ad altri popoli e società, aprendo così la strada a un "multiculturalismo" che legittima pratiche e usi che vengono da secoli bui della storia umana.Più di recente, questa forma di relativismo si è data come obiettivo strategico quello di stravolgere la cultura e la tradizione che s’è plasmata in Europa su matrimonio, tutela della famiglia e della maternità, recepita nelle Convenzioni internazionali, dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948 in poi.L’Italia vive oggi un segmento di questa parabola, e deve valutare progetti che investono la il matrimonio e le nuove generazioni, col rischio di assimilare modelli fatti propri da altri Paesi, non di rado su pressione d’istituzioni sovranazionali del tutto incompetenti in materia, o per decisioni giurisprudenziali che contraddicono le leggi votate da Parlamenti sovrani, altre volte per scelte legislative ambigue e reticenti.Basterà ricordare che la Corte di Strasburgo, di fronte al chiaro dettato dell’art. 12 della Convenzione dei diritti dell’uomo del 1950, che parla del matrimonio tra uomo e donna, s’è più volte contraddetta nello spazio di pochi anni: prima affermando nel 2001 che il matrimonio non è istituto che riguarda gli omosessuali, poi nel 2010 che il matrimonio gay non può essere imposto ai singoli Stati, ma è legittimato da un altro articolo che tutelerebbe la vita privata dei singoli, infine sollecitando ambiguamente gli Stati ad adottare una legislazione che lo introduca di fatto. Anche un recente documento del Parlamento europeo, pur privo d’ogni valore cogente, ha spinto in questa direzione gli Stati membri della Ue perché favoriscano le "teorie del gender", anche introducendo una nuova forma di matrimonio.La stessa Corte Suprema degli Usa ha nei mesi scorsi scavalcato gli Stati membri, divisi sull’argomento, e con una contestata sentenza, ha deciso che il matrimonio gay va introdotto in ogni legislazione territoriale. Perfino il drammatico crinale dell’adozione di minori da parte di coppie non eterosessuali è stato superato spesso per mera conseguenza logica del riconoscimento del matrimonio gay, o per intervento giurisprudenziale, come è avvenuto in Germania nel 2013, nonostante la legge del 2001 lo escludesse.Infine, si registra un deprimente silenzio di istituzioni nazionali e sovranazionali sulla questione della maternità surrogata che si lega di fatto alle situazioni citate: l’adozione per coppie omosessuali maschili può realizzarsi mediante il ricorso all’uso servile del corpo di una donna per ottenere così il risultato della filiazione altrimenti impraticabile. Di tutto ciò, e del merito delle scelte da compiere, ancora adesso in Italia si cerca di non discutere, mentre ci si appella di continuo a una generica crescita dei diritti individuali, come se i diritti dei minori, e quello della donna a non essere sfruttata, non fossero a fondamento dell’intero edificio dei diritti umani. Nel nostro Paese la situazione potrebbe essere diversa per più ragioni. Per un’opinione pubblica da sempre sensibile e attenta ai valori della famiglia, e alla tutela della maternità; e perché un confronto sincero favorirebbe un accordo su due punti essenziali: distinguere, in armonia con la Costituzione, la tutela della famiglia fondata sul matrimonio dal riconoscimento dei diritti individuali anche nelle relazioni interpersonali; confermare il diritto primario dei minori ad avere entrambe i genitori, escludendo l’adozione da pare di coppie non eterosessuali. Il diritto alla doppia genitorialità madre-padre non è una concessione da fare a una parte politica, né può essere contrattata per avere qualcosa in cambio. È il primo, e in certo senso il più umano, dei diritti umani, che va riconosciuto a chi nasce perché su esso si fonda, e si sviluppa, tutta la sua vita futura. E l’impegno contro la servitù del corpo femminile dovrebbe essere un momento alto di concordia politica, per riaffermare la dignità della donna contro nuove forme di asservimento. Queste colonne d’Ercole segnano il confine tra una concezione dei diritti umani che rispetti le esigenze dei più deboli, e un’altra che apre all’egoismo del più forte, a forme inedite di servitù e sfruttamento. Come tali, non possono essere aggirate con silenzi ipocriti (sulla maternità surrogata), compromessi lessicali (che non parlano di matrimonio, ma dicono la stessa cosa), con inganni linguistici. E il punto è proprio questo. La storia degli ultimi anni, in Europa e in Occidente, è piena di trappole, ambiguità, pressioni indebite, per conseguire risultati che certamente non sono presenti in atti normativi, ma che poi, in modo ingannevole, si ottengono senza che il Parlamento li abbia approvati. Il diritto dei minori ad avere un papà e una mamma, come tutti i bambini del mondo, il diritto delle donne più sole, soprattutto nei Paesi poveri, a non essere spinte verso umilianti servitù, come avviene nella maternità surrogata, restano obiettivi strategici di una politica che non intende utilizzare le Carte internazionali dei diritti umani per legittimare l’affermazione del più forte sul più debole.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: