martedì 4 luglio 2023
A causa dell’espansione economica il Paese non verrà più considerato in difficoltà. Ma se diminuiscono i poveri emergono nuove tensioni, soprattutto nelle aree urbanizzate
Il Bangladesh ha conosciuto negli ultimi anni una crescita significativa, ma le disuguaglianze continuano a essere un problema

Il Bangladesh ha conosciuto negli ultimi anni una crescita significativa, ma le disuguaglianze continuano a essere un problema - Epa

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Con difficoltà crescenti e il rischio concreto di un ritorno a una condizione di sottosviluppo, il Bangladesh uscito dalla pandemia dovrà fare scelte che la sua fragilità economica, la collocazione geografica e le opportunità politiche gli imporranno. La corsa all’istruzione superiore – uno dei maggiori fattori che hanno portato alla crescita un Paese di 170 milioni di abitanti su una superficie che è la metà di quella italiana e povero di risorse se si escludono i suoi fiumi e la sua popolazione – si confronta con una realtà che non solo vede crescere la disoccupazione intellettuale, ma anche milioni di nuovi poveri. Altri due fattori, manodopera abbondante e spesso specializzata in settori produttivi come il tessile e l’apertura agli investimenti stranieri, subiscono rispettivamente la contrazione dei mercati esteri e i condizionamenti strategici in un contesto regionale e globale per nulla disteso. Ricordiamo che la Repubblica popolare cinese è qui il maggiore investitore ancor più in comparti come le infrastrutture stradali, ferroviarie e energetiche indispensabili in qualsiasi progetto di sviluppo, ma che acuiscono la dipendenza del Paese dal partner.

Il paradosso di uno sviluppo economico che è tra i più performanti in Asia (il Bangladesh ha visto crescere il suo Prodotto interno lordo del 6,4% tra il 2016 e il 2021 e si prevede +4,5% quest’anno e +6% il prossimo) è che questa corsa dovrebbe portarlo nel 2026 a uscire dalla categoria dei “Paesi meno sviluppati”. Un traguardo che però rischia di precludergli l’accesso preferenziale ai mercati esteri. « In principio è una buona cosa perché mostra che il Bangladesh ha fatto progressi significativi sul piano economico, tuttavia questo lo costringerà a ripensare il suo progetto di sviluppo – ricordano fonti Onu –. Senza questo riconoscimento il Bangladesh è destinato a perdere certi benefici commerciali e l’accesso preferenziali ai mercati europei, canadese e statunitense». A rischiare è l’industria del tessile, abbigliamento e accessori, la più redditizia con un controvalore nell’ultimo anno fiscale di 42,6 miliardi di dollari. La dipendenza da queste produzioni e dalla loro vendita all’estero, per la maggior parte sotto noti brand internazionali, è evidente se si pensa che garantiscono circa l’82% dei proventi dell’export. Dipendenza che dovrà però essere superata, ad esempio stimolando la domanda interna, in una fase che richiederà aumenti di salari e rafforzamento delle strutture di protezione sociale per consentire una maggiore capacità di spesa agli abitanti.

Come indicato dalla Banca mondiale, in Bangladesh la popolazione in condizione di povertà estrema si è più che dimezzata tra il 2000 e il 2016, precipitando dal 34 al 13,47%. Con un ulteriore calo successivo che l’ha portato al 10,44% nel 2020. Tuttavia questo progresso, innegabile, come innegabile è un miglioramento complessivo della qualità della vita in un Paese che dalla sua nascita drammatica nel 1071 e fino ad anni recenti è stato sinonimo di sottosviluppo, non fornisce un quadro completo della situazione, tenuto conto del costo della vita in aumento e – appunto – di ineguaglianze sempre più marcate. Non a caso il coefficiente che le misura è salito da una media di 0,456 nel 2010 a 0,482 nel 2016 e successivamente ha visto una situazione atipica, con incremento molto forte nei centri urbani (0,539 nel 2022) e un calo relativo nelle aree rurali (0,446). A sottolineare gli ostacoli posti davanti allo sviluppo del Paese è anche in una sua recente analisi Olivier De Schutter, relatore speciale dell’Organizzazione delle Nazioni unite per quanto riguarda il rapporto tra povertà estrema e diritti umani. Quello che è andata emergendo, infatti, è una categoria di “nuovi poveri”, ovvero di quanti, soprattutto nelle città, si trovano appena sopra la linea di povertà definita internazionalmente a 2,15 dollari disponibili al giorno per un adulto.

Tenendo conto dei tre elementi che contribuiscono a definire questa categoria (insufficiente liquidità, limitate possibilità di istruzione e difficoltà di accesso a servizi essenziali) a ritrovarsi nel 2020 nella nuova definizione di povertà sarebbero stati oltre 41 milioni di cittadini del Bangladesh, ovvero il 24,6%. Successivamente, per ovvie ragioni, i dati sono meno certi e meno interpretabili, ma quello che è certo per De Schutter è che troppe famiglie vivono oggi su salari appena sufficienti, con risparmi pressoché inesistenti e nel rischio elevato di finire nella povertà estrema nel caso di perdita del lavoro o la necessità di cure mediche. Incide sicuramente l’elevata inflazione, che secondo l’Ufficio nazionale di statistica si è attestata ad aprile al 9,2% e quella alimentare all’8,8%.

A rendere però ancora più complessa l’analisi delle prospettive è il fattore climatico. Come suggeriscono ancora gli analisti internazionali, se Covid e inflazione sono le cause più immediate dell’ineguaglianza in risalita, ora e ancor più in futuro saranno i cambiamenti climatici a richiedere una attenta gestione di risorse e possibilità in una terra dove entrambe scarseggiano. Le previsioni danno per questo aspetto una prospettiva di anni difficili, con l’alternarsi di eventi estremi (siccità, tifoni e alluvioni) che si presenteranno con maggiore frequenza e intensità. Questo renderà ancor più complicata la programmazione e gli interventi governativi ma avrà anche un impatto diretto su parte della popolazione. Per le Nazioni Unite oltre 10 milioni di bangladeshi sono già ora considerati “profughi climatici”, ma questa particolare categoria di difficoltà andrà incrementandosi, arrivando entro la metà del secolo a includere un abitante su sette, 28 milioni di individui secondo le stime.

La migrazione è stata e continuerà a essere un incentivo allo studio e alla ricerca del benessere, con benefici per le famiglie in patria e sui bilanci governativi, ma la sua fragilità davanti a eventi eccezionali o a scelte di indirizzo la rendono un fattore difficile da valutare in prospettiva. In modo simile, maggiore libertà e maggiori aperture agli spazi civili, l’impegno a contrastare fenomeni negativi come la corruzione o la cattiva gestione possono essere fattori potenti di progresso. Il piglio autoritario con cui il Bangladesh è governato da tempo, ha garantito maggiore stabilità e indirizzo più certi, l’islamismo estremista e jihadista è stato emarginato e represso con brutalità, ma quella della trasparenza, del dialogo, della libertà di espressione – elementi fondamentali di una democrazia effettiva – è oggi una sfida primaria per una realtà dove migliaia di attivisti, giornalisti, blogger e intellettuali sono in carcere o sotto giudizio.

Infine, ma sicuramente una incognita per i risvolti umanitari, sociali ed economici, c’è la questione del milione di profughi di etnia rohingya fuggiti dal confinante Myanmar per evitare la persecuzione dei militari e dei gruppi nazionalisti e buddhisti. Assai prolifici, impossibilitati a vivere o lavorare all’esterno dei campi di accoglienza dove vivono in condizioni di sovraffollamento e di precarietà – ancor più dopo che il Programma alimentare mondiale ha dovuto ridurre da 12 a 10 dollari Usa procapite il valore degli aiuti alimentari – i musulmani Rohingya non possono più contare sulla solidarietà di fede del Bangladesh o la tolleranza degli abitanti della regione che li ospita, dove sempre più sono percepiti come un fardello senza prospettive di rimpatrio o di ricollocazione altrove.

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