martedì 31 gennaio 2012
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Da tempo ci eravamo accorti che l’Italia non era più un Paese accogliente verso i bambini, ma spesso accade che le cifre restituiscano una realtà persino più amara di quella che s’intuisce. Se infatti è noto che il numero di nascite è precipitato a livelli impensati per la tradizione e la sapienza antica del nostro Paese, fa ugualmente impressione leggere che in poco meno di un secolo e mezzo la natalità si è ridotta dei tre quarti. La storia dell’Italia unita, appena celebrata nel corso di un anno che ci ha fatto scoprire numerosi e sorprendenti motivi di orgoglio, è anche percorsa appena sotto la superficie da un traumatico fenomeno di impoverimento demografico, una lenta e inavvertita implosione censurata come un fatto inconfessabile, silenziosa eppure sotto gli occhi di tutti. Tra il 1871 e il 2009 la natalità è andata inabissandosi fino a registrare un calo del 74,25%, col rovesciamento della piramide anagrafica che ha fatto travasare nella fascia dei pensionati quel che è andato perso nella nidiata dei bambini. L’Italia unita s’è desta, certo, ma s’è anche ingrigita. Sappiamo che i nuovi nati oggi sono appena 9,5 ogni mille abitanti, assai meno rispetto ai 12,8 di Francia e Gran Bretagna, ai 12 della Svezia, persino ai 10,8 della Spagna che sta sperimentando un deficit analogo al nostro. E non s’intravede non diciamo il segnale di un’inversione di questo sinistro spread vitale sul resto d’Europa ma persino un buon motivo che incoraggi gli italiani a mettere al mondo più figli. Il tracollo infatti «è dovuto alla mancanza di politiche a supporto della famiglia, dal secondo dopoguerra in poi», mica da ieri, come ha messo in chiaro chi ha curato il Libro bianco 2011 sulla salute dei bambini (generoso di dati e annotazioni), messo a punto dall’OsservaSalute dell’Università Cattolica insieme alla Società italiana di pediatria, e diffuso ieri. L’emorragia non può essere arrestata se non si invia al Paese un chiaro messaggio di fiducia in ciò che – per unanime ammissione – lo sostiene e lo rende capace di reggere l’urto anche di una crisi come quella attuale, ovvero la famiglia, architrave pure della piccola impresa di cui gli economisti di casa nostra si mostrano così fieri. Quanta tenacia e risolutezza richiede questa operazione, che ha a che fare con la cultura e la mentalità diffusa ancor prima che con la contabilità, lo documenta il paradosso tutto italiano – anch’esso mostrato dalle eloquenti tabelle del Libro bianco – dell’invidiabile stato di salute goduto dai bambini italiani, tra i più sani e accuditi del continente. Il merito è anche di un sistema sanitario che, nel groviglio di problemi e difetti che lo travagliano, riesce a garantire un’assistenza di prim’ordine alla nostra sempre meno numerosa infanzia. Ma per garantire il benessere dei figli, persino eccessivo se si considera che i bimbi italiani sono mediamente sovrappeso, non bastano pediatri in gamba e ospedali attrezzati: il rapporto mostra infatti come ancora una volta sia la famiglia ad assicurare una rete di assistenza e welfare che provvede a ogni necessità, con la solerzia garantita da una devozione persistente ai valori della cura e della genitorialità moltiplicati dall’esiguità dei beneficiari di tante premure. In non poche famiglie attorno a un nipote si concentrano infatti le attenzioni di due genitori e quattro nonni, che si spartiscono il bambino e ne monitorano apprensivamente ogni possibile disagio, provocando un’inevitabile lievitazione delle prestazioni sanitarie e della sommnistrazione di farmaci. Il Libro bianco parla – senza inutili giri di parole – di un Paese di «nonni senza nipoti», bambini circondati da ogni attenzione, percepiti come un bene tanto più prezioso quanto più è centellinato. Ma se gli italiani vogliono rialzarsi – ed è fuori discussione che lo stiano fortissimamente desiderando – non sarà il caso di aiutarli in qualche modo ad aver fiducia in un futuro di genitori aperti più generosamente alla vita?
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