venerdì 19 agosto 2011
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Nel giorno dell’ennesimo crollo delle Borse, e mentre, rassegnati, ci prepariamo a tirare di un altro buco la cinghia già troppo stretta dei nostri striminziti  bilanci familiari,  Benedetto XVI torna ancora una volta a spiazzarci. E in volo verso Madrid, verso una consapevole marea di giovani che chiama «la nostra speranza», ci ricorda alcune semplici regole, tanto fondamentali quanto troppo a lungo dimenticate. Come il fatto che l’economia non può essere lasciata alle autoregolamentazioni dei mercati, ma ha bisogno di una «ragione etica» che la fondi, «per funzionare per l’uomo».  Che al centro di essa dev’esserci l’uomo, e non la si può misurare secondo il principio del massimo profitto ma in base «al bene di tutti». Che implica «la responsabilità dell’altro», in tutte le sue dimensioni nazionali  e  sovranazionali  in quanto, per esempio, non è tollerabile  ignorare chi, in altre parti del mondo, muore di sete e di fame e non ha futuro.Concetti non nuovi, certamente, riproposti in tante occasioni e in modi diversi, dalla Laborem exercens in poi, come lo stesso Papa ha ricordato ieri. Ma in quel suo metterli drammaticamente in fila, uno dopo l’altro, concatenandoli col suo rigore intellettuale – verrebbe da definirlo “spietato” –  e nel bel mezzo di una crisi economica di cui non si vede la fine, Benedetto ha  in qualche modo voluto metterci davanti a quello che resta il nodo, l’interrogativo centrale al quale prima o poi sarà necessario rispondere se si vorrà uscire da questa crisi e da quelle che – inevitabilmente, se non si cambia registro – seguiranno: a cosa siamo risposti a rinunciare per il bene di tutti?Non è un interrogativo astratto, né una fuga in quella che viene a volte definita la “retorica cristiana” che non sa fare i conti con la realtà. È una domanda vera e concreta: come lo stesso Papa Benedetto ci ricorda  oggi, ammonendo che «se i giovani di oggi non trovano prospettive nella loro vita, anche il nostro oggi è sbagliato, è male». E come, al rovescio, ci dimostra la stessa crisi che stiamo vivendo, con il  suo drammatico avvitarsi attorno alla difesa di rendite , privilegi e impunità che oggi, più ancora che inaccettabili, appare scandaloso pensare di potere  ancora proteggere o consentire.La dottrina sociale della Chiesa, è vero, non propone formule miracolose. Ma, dalla già ricordata Laborem exercens di Giovanni Paolo II alla Caritas in veritate di Benedetto XVI, quello che colpisce – a parte l’impressionante lucidità nel prevedere le derive delle scelte economicistiche compiute negli ultimi decenni –  è l’insistere sulla necessità di ripartire dall’uomo per rifondare l’esistere. Rifondarlo nell’armonia tra le  persone e l’ambiente, tra pubblico e privato, tra nazionale e sovranazionale. Un’armonia senza la quale non c’è speranza, non c’è futuro, non ci sarà più vita e comunità, ma solo lotta sempre più brutale, sopraffazione e sopravvivenza.È un messaggio di un’incalzante valenza antropologica che, forse, perfino precede la sua connotazione confessionale, come lo stesso Benedetto XVI del resto sottolineò nel 2006 declinando i  «valori non negoziabili»  – vita, famiglia, libertà di credere, pensare ed educare – che dovrebbero scandire le scelte politiche e sociali. E non è un caso che, per rilanciare tale messaggio, per rimettere in fila quei concetti di base, Papa Ratzinger abbia scelto il suo arrivo a Madrid, apprestandosi a incontrare i giovani che da tutto il mondo sono arrivati qui per incontrarlo. I giovani che rappresentano il futuro e che, quel futuro, devono poterlo costruire su una Terra non inaridita da speculazioni ed egoismi.
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