Il necessario smarrimento
sabato 8 aprile 2023

«Oggi sulla terra c’è un grande silenzio, grande silenzio e solitudine». Così si legge in un’antica omelia sul Sabato Santo. C’è un tempo sospeso, tra il dramma e l’eterno, a portare allo scoperto la verità delle nostre vite, le profondità del cuore. È il giorno dello smarrimento. I discepoli si sono dispersi: chi si è chiuso nel Cenacolo, incredulo e spaventato; chi si allontana da Gerusalemme, portando nel cuore una profonda delusione: «Noi speravamo...» (Lc 24,21). Forse nessuno aveva capito che la storia del loro Signore potesse finire così; nemmeno Giuda, che pure si era dato da fare per consegnare il Maestro ai capi del Sinedrio, e compie il gesto estremo di togliersi la vita. Ognuno risponde all’evento come sa, mette in campo ciò che è realmente, nei suoi sentimenti e desideri più profondi.

Dopo che il Signore Gesù ha consegnato lo spirito con il suo ultimo respiro – «chinato il capo, consegnò lo spirito» (Gv 19,30) – anche noi sentiamo che in quello spirare c’è qualcosa della nostra morte, c’è un silenzio che ci coinvolge, c’è uno smarrimento in cui si concentra tutto il dramma delle nostre vite e della nostra fede stupita da questo dolore, da questa mitezza, da questo amore. Dopo quell’ultimo respiro, ci sembra di essere più soli ad affrontare i nostri dolori, a portare i pesi della vita e le sue domande. Ci rendiamo conto che anche noi «speravamo...», come i due che si allontanano da Gerusalemme. Anche noi speravamo che venisse il giorno in cui il lupo e l’agnello avrebbero vissuto insieme, invece dobbiamo assistere a una guerra che non finisce di mostrare il suo orrore e che di giorno in giorno sembra allargarsi sempre più; speravamo in una fraternità rinnovata, e invece ci vediamo incapaci di accogliere chi cerca di sfuggire a condizioni di vita disumane e chiederebbe di condividere un po’ del benessere di chi sta bene...; anche noi speravamo che per i poveri, per gli ultimi, per quelli che finora sono vissuti nell’ombra della dimenticanza e della marginalità venisse il tempo di una nuova attenzione, di una nuova solidarietà. E invece...

Anche nella Chiesa, noi speravamo. Speravamo che il Concilio rappresentasse la sua primavera, che il suo sforzo di rinnovamento la rendesse più capace di dialogare con le donne e gli uomini di questo tempo, che la sua azione missionaria riuscisse a far intravedere la forza e la bellezza del Vangelo e, anche se vediamo i cammini e i processi avviati da papa Francesco e partecipiamo a essi, la sentiamo profondamente coinvolta in una crisi minacciosa, che mette alla prova la nostra fede e la nostra capacità di guardare al futuro con speranza.

Anche le donne che avevano seguito Gesù non avevano capito il destino che attendeva il loro Maestro. Smarrite e sconvolte dal dolore, dedicano il loro sabato a preparare oli e aromi per ungere il corpo del loro Signore. La sua morte non le ha disperse, non ha allontanato da lui il loro pensiero, che è tutto proteso al giorno dopo, quando potranno recarsi al sepolcro, «di mattino, quando è ancora buio», si dice di Maria di Magdala. L’amore ha fretta, non sopporta indugi. Anche per loro il Signore è morto. Testimoni del suo ultimo respiro, hanno sentito che qualcosa moriva anche dentro di loro. Ma il loro legame con lui non poteva essere spezzato dalla morte, Lui continuava a vivere nel loro cuore. Lo avevano seguito nella completa gratuità: non avevano progetti, né si aspettavano di sedere chi alla destra e chi alla sinistra. Lui era importante per loro perché era lui, perché le aveva liberate dal male, consegnate a una nuova libertà e possibilità di vita. E il giorno dopo il sabato tornano da lui; è rimasto solo il suo corpo, ma loro non possono staccarsi almeno da quel corpo.

Le donne non si sottraggono allo smarrimento del giorno dopo; accettano di abitarlo per poter sperimentare che dalla profondità di quel dolore possono sorgere parole nuove per comprendere la propria fragile umanità e per sperimentare in maniera nuova la vita.

La presenza delle donne nella Pasqua dice che l’amore è più forte della morte: non risolve tutti i problemi, ma restituisce vita; non cancella il dolore, ma dà la forza per affrontarlo. Stare nelle situazioni critiche della vita continuando a credere nella forza del bene; stare nella crisi della Chiesa senza smettere di amarla: questa è la lezione delle donne, questo è quello che avevano imparato dal loro Maestro. Avrebbe potuto scendere dalla croce: avrebbe salvato sé stesso! E invece è rimasto a consegnare la sua vita «fino in fondo», perché l’amore è più forte della morte. Lo smarrimento del nostro Sabato Santo ci invita ad accogliere dentro di noi la solitudine e il silenzio di una giornata in cui il tempo sembra sospeso. Ma è solo per aprirsi a un tempo nuovo.

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