giovedì 5 gennaio 2023
La politica internazionale non come il teatro di rapporti di forza ma terreno condiviso di cooperazione per «stati di pace»
na foto di Benedetto XVI esposta durante una Messa di suffragio celebrata nella cattedrale di Buenos Aires

na foto di Benedetto XVI esposta durante una Messa di suffragio celebrata nella cattedrale di Buenos Aires - Reuters

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Il fondamentale fraintendimento del discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006 (erroneamente e strumentalmente interpretato come critico dell’islam) ha ingiustamente egemonizzato per troppo tempo la questione dell’approccio di Benedetto XVI alla politica internazionale intesa come un campo aperto in cui domina il pluralismo, se non la polarizzazione e la competizione. Peraltro, già il 13 ottobre 2007, dissipatosi il polverone delle polemiche, 138 intellettuali, muftì e leader musulmani di 43 nazioni, rappresentanti delle diverse confessioni e scuole giuridiche islamiche (tra cui sunniti e sciiti, assieme) con la lettera aperta Una Parola comune tra noi e voi incoraggiavano il Papa a proseguire in un dialogo strutturato tra cristiani e musulmani nella promozione della pace nel mondo, anche attraverso l’istituzione di un Forum Cattolico-Islamico.

Un preludio, si direbbe, come ha annotato più volte il direttore di “Avvenire”, al Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, firmato ad Abu Dhabi da papa Francesco e dal grande imam di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb, il 4 febbraio 2019. D’altra parte, il contesto mutò radicalmente dopo lo straordinario viaggio di papa Benedetto XVI in Turchia nel novembre del 2006 e la storica visita in Vaticano, il 6 novembre 2007, del sovrano saudita Abdallah bin Abdulaziz al-Saud, custode delle Due Sacre Moschee della Mecca e di Medina, scomparso nel 2015.

Papa Ratzinger, pur con la prudenza che lo caratterizzava, ma certo con non minore convinzione, considerava il dialogo interculturale e interreligioso necessario per la collaborazione su temi di interesse reciproco, come la dignità della persona umana, la ricerca del bene comune, la costruzione della pace e lo sviluppo; tuttavia, per essere produttivo, esso si deve svolgere «evitando relativismi e sincretismi» ma nutrendo «un sincero rispetto per gli altri» in uno «spirito di riconciliazione e di fraternità» (Discorso al Corpo diplomatico, 7 gennaio 2008).

L’elezione al soglio pontificio di Ratzinger segnò una fase di grande momento, caratterizzata da una teologia riflessiva delle relazioni internazionali, che si univa alla più consueta pastorale diplomatica. La strategia di Benedetto XVI mirava a cambiare in profondità la logica della politica mondiale, con una chiara messa in valore della razionalità e della ragionevolezza della cooperazione. Nella concezione di Benedetto XVI non sono sufficienti gli atti di pace se essi non creano stati di pace. Per questa ragione, più che la sociologia delle relazioni internazionali, conta soprattutto l’antropologia, la concezione dell’umanità come un grande concerto di relazioni, non come un concerto di potenze.

Nell’enciclica Caritas in veritate afferma, ad esempio, che «la rivelazione cristiana sull’unità del genere umano presuppone un’interpretazione metafisica dell’humanum, in cui la relazionalità è elemento essenziale » (n.55). Nella stessa enciclica Benedetto XVI auspica il passaggio a «un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione » al servizio dello «sviluppo integrale dei popoli» e della «collaborazione internazionale », che favorisca «un ordine sociale conforme all’ordine morale e a quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già prospettato nello Statuto delle Nazioni Unite» (n.67).

Il deficit relazionale di tipo politico, sociale ed economico spiega il severo monito di Benedetto XVI sulla globalizzazione: «Non si può dire infatti che la globalizzazione sia sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro. I conflitti per la supremazia economica e l’accaparramento delle risorse energetiche, idriche e delle materie prime rendono difficile il lavoro di quanti, ad ogni livello, si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale. C’è bisogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti» (Omelia per la festa dell’Epifania, 6 gennaio 2008). La visione di Benedetto XVI, sul piano internazionale, è stata genuinamente universalista, anche in relazione alla stessa Chiesa cattolica.

Fu già il cardinale Ratzinger, a mettere in chiaro, nel 2004, che «la Chiesa sostanzialmente non può riconoscersi nella categoria “Occidente”. Sarebbe sbagliato storicamente, empiricamente, teologicamente». Sbagliato storicamente, perché il cristianesimo è nato «nell’incrocio di Europa, Asia e Africa, e questo indica anche qualcosa della sua essenza interna»; le cristianità storiche «testimoniano la sua universalità, e anche la cristianità europea si divide in occidentale e orientale». Sbagliato empiricamente, perché «il cristianesimo è presente, con minoranze di forza spirituale riconosciuta, in tutti i continenti. Sempre più l’asse della cristianità si sposta verso i nuovi continenti, verso Africa, Asia, America Latina ».

Sbagliato teologicamente, «perché la Chiesa, per sua essenza, dovrebbe trascendere le culture, essere il fatto che non è legato a una cultura determinata, ma aiuta l’esodo dal carcere di una cultura e la comunicazione delle culture» (Intervento nel dibattito con Ernesto Galli della Loggia su “Storia, politica e religione”, Roma, 25 ottobre 2004, in “Il Foglio”, 27-28 ottobre 2004). I grandi snodi della politica mondiale, naturalmente, non sono stati affatto estranei al magistero di papa Benedetto XVI. Stabilì relazioni diplomatiche ufficiali con la Federazione Russa nel dicembre del 2009, aprendo un ulteriore canale di comunicazione, di riflesso, anche con la Chiesa russo- ortodossa, e indirizzò una lettera, eminentemente pastorale, ai cattolici cinesi nel maggio del 2007, non caratterizzata da intenti politici, e che in quanto tale fu percepita dal governo di Pechino come non ostile.

Quanto al tema drammatico della guerra, l'allora prefetto del Sant'Uffizio si esprimeva nel 2003 in termini dubitativi sul concetto di guerra giusta, dicendosi convinto che «dovremmo cominciare a domandarci se al giorno d'oggi con le nuovi armi che permettono distruzioni che vanno ben al di là dei gruppi combattenti, sia ancora lecito ammettere l'esistenza stessa di una “guerra giusta”» (Intervista a “30giorni”, 16 aprile 2003). In un intervento del 2004, elaborò il suo pensiero in chiave più problematica: «Certamente – disse – la difesa del diritto può e deve, in alcune circostanze, far ricorso a una forza commisurata.

Un pacifismo assoluto, che neghi al diritto l’uso di qualunque mezzo coercitivo, si risolverebbe in una capitolazione davanti all’iniquità, ne sanzionerebbe la presa del potere e abbandonerebbe il mondo al diktat della violenza» (Discorso per il 60° anniversario dello sbarco alleato in Normandia, 4 giugno 2004). Ciò non affievolisce, tuttavia, il biasimo della guerra, che «con il suo strascico di lutti e di distruzioni è da sempre giustamente considerata una calamità che contrasta con il progetto di Dio, il quale ha creato tutto per l'esistenza e, in particolare, vuole fare del genere umano una famiglia» (Angelus, 22 luglio 2007). Da questo punto di vista, c’è una sostanziale coerenza della Chiesa da Benedetto XV con la sua definizione della guerra come «inutile strage» (Lettera ai Capi dei popoli belligeranti, 1° agosto 1917) a Benedetto XVI.

Per Ratzinger l'idea di pace risponde, a grandi linee, alla formula agostiniana tranquillitatis ordinis, improntata a un realismo etico internazionalista e alla trascendenza della “Città di Dio” rispetto alla città terrestre. Il cristiano, più che un cosmopolita, è essenzialmente un “uranopolita”, un cittadino della Città celeste, che è però chiamato, anche plasmando le istituzioni politiche internazionali, a «dare forma di unità e di pace alla città dell'uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice della città senza barriere di Dio ( Caritas in veritate, 7)».

Ambasciatore, direttore generale per gli Affari politici e della Sicurezza del Ministero degli Esteri

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