È il momento di aprire corridoi umanitari europei
sabato 29 giugno 2019

Caro direttore,

progetto di vita. È questo che fa veramente la differenza nel virtuoso modello italiano dei corridoi umanitari, una formula tanto efficace che vorremmo farne una strategia integrata europea. Migranti particolarmente vulnerabili – siriani, yemeniti, sudanesi e altri – segnalati in alcuni Paesi – Libano, Etiopia, Giordania, Corno d’Africa e Niger – da associazioni, Ong, organismi internazionali, Chiese, viaggiano verso l’Italia in modo legale e protetto, con un programma di accoglienza e integrazione strutturato che permette loro di costruirsi realmente un futuro. In tre anni sono quasi 2.500 le persone arrivate in Italia attraverso i corridoi. Il percorso avviene nel rispetto della normativa italiana, in collaborazione con le autorità consolari nei Paesi coinvolti, le organizzazioni internazionali, il Viminale e la Farnesina.

Una volta giunti in Italia, i migranti vengono presi in carico dalle organizzazioni promotrici, che li sostengono dal punto di vista giuridico, scolastico, lavorativo, sanitario perché acquisiscano una vera autonomia. E tutto questo a costo zero per lo Stato. Sono le organizzazioni stesse a mettere i fondi. Le organizzazioni promotrici – Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia, Tavola Valdese, Conferenza episcopale italiana – sottolineano che questo modello dà sicurezza anche al nostro Paese, perché chi arriva supera un percorso di screening molto accurato. Francia, Belgio, Andorra stanno seguendo la via italiana e anche la Germania ha mostrato grande interesse per questo nostro modello che merita, ripeto, di diventare una strategia integrata europea a tutti gli effetti.

Corridoi umanitari europei che prevedano un coinvolgimento attivo della Commissione europea per stabilire gli standard minimi per l’accoglienza, assistere gli Stati membri nella firma dei protocolli d’intesa con i Paesi di operazione e le convenzioni con la società civile, oltre a valutare l’opportunità di stanziare fondi europei. Molto importante il rapporto con i Paesi di transito dei beneficiari, ai quali si dimostrerebbe, in nome di una vera partnership – come vado ripetendo – che la Ue, ispirata appunto dal modello italiano, non intende solo respingere, ma intende anche creare cicli positivi di interazione, di cui i corridoi umanitari rappresentano un esempio efficace. E questo in un contesto di concreta solidarietà intra-europea nella gestione di tali complessi fenomeni. Con i soggetti promotori si pensa a un impegno consistente in Europa per il prossimo biennio 2020-21: 50mila persone. Di certo il numero dipenderà dalla volontà degli Stati membri di collaborare, ma se questo diventasse un progetto a pieno titolo 'europeo', allora potremmo davvero pensare a cifre consistenti e sostenibili.

Il premier Conte ha espresso la disponibilità a un contributo italiano nell’ambito di un esercizio complessivo di accoglienza che veda coinvolto il nostro Paese insieme agli altri partner europei. Il sostegno alle categorie fragili - individui, comunità, Stati - è giusto, perché abbiamo la responsabilità di proteggere, perché il mondo globalizzato è interconnesso e interdipendente e i fenomeni di vulnerabilità ci riguardano tutti. I corridoi umanitari europei ci permetterebbero di sistematizzare il processo, che richiede standard di collaborazione complessi sul piano bilaterale e multilaterale, già sperimentati ad esempio con l’Acnur per i reinsediamenti.

Non che non vi siano aspetti tecnici complessi, come i visti, da affrontare, ma sotto il cappello dei corridoi umanitari europei la collaborazione tra gli Stati membri e i Paesi di transito verrebbe facilitata. Questo strumento ci permetterebbe anche di meglio definire criteri di vulnerabilità per la selezione dei beneficiari, uniformi e conformi al Sistema europeo comune di asilo, e in questo modo contribuirebbero a ristabilire un equilibrio nella narrativa corrente, restituendo dignità e cittadinanza al migrante regolare tanto più se vulnerabile. Per questo è essenziale che il principio ispiratore resti il progetto di vita, perché la necessità di costruire un futuro per sé e per i propri cari è un linguaggio universale, trasversale, unificante. E i corridoi umanitari europei parlano proprio la lingua dei sogni che si avverano.

Viceministra degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale

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