giovedì 17 dicembre 2015
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Caro direttore, sembrerebbe ormai assodato: esiste in Italia un diritto assoluto all’autodeterminazione del paziente; esiste un diritto all’aborto; esiste un diritto al figlio sano; esiste una responsabilità del sanitario se, per difetto di informazione, i primi tre diritti non possono realizzarsi, verificandosi a seguito di tale condotta la nascita di un figlio che si voleva a tutti i costi sano e bello. È quanto, in estrema sintesi, si può evincere dalla lettura della sentenza depositata nei giorni scorsi dalla Suprema Corte. Ribaltando due precedenti sentenze e spazzando via (!) la stessa legge 194/98, la Cassazione ha deciso che il sanitario ha l’obbligo di informare «in vista dell’esercizio della gestante di interrompere la gravidanza». Ne prenda atto il Parlamento, ancora una volta scavalcato per via giudiziaria. La Corte ha deciso che «il diritto all’autodeterminazione è diverso dal diritto alla salute» e può essere oggetto di rivendicazione da parte del paziente che se ne veda precluso l’esercizio a causa delle decisioni del medico. L’autodeterminazione, dunque, secondo questa visione potrà estendersi dal diritto alla tutela della salute, a scelte che non hanno potuto esprimersi a causa di un deficit d’informazione, anche senza che ne siano derivati danni per la salute del paziente. Per la Corte, infatti, «l’inadempimento dell’obbligo d’informazione assume autonomo rilievo nel rapporto contrattuale, a prescindere dalla correttezza o meno del trattamento sanitario eseguito». Da alleanza terapeutica, il rapporto medico-paziente è così ridotto a prestazione d’opera finalizzata, come da contratto, all’adempimento dei voleri del paziente e gli scenari che si aprono per altre condizioni di salute o altre età della vita sono inquietanti. Restando in tema di gravidanza, i giudici ritengono che è il sanitario su cui incombe l’obbligo di informare il paziente che «deve dare prova di aver adempiuto a tale obbligo, restando a suo carico, in caso contrario, la responsabilità per lesione del diritto del paziente all’autodeterminazione», ivi compresa «la lesione del diritto di autodeterminarsi anche in merito all’Ivg e del diritto di procedervi». Ciò tanto più perché la gestante aveva dichiarato che «non avrebbe accettato un figlio affetto da sindrome di Down», un’indicazione confermata dal mancato riconoscimento della figlia dopo la nascita. Per la Cassazione, dunque, non esisterebbe solo un diritto all’aborto, ma anche un diritto al figlio sano e il 'contratto' che lega il medico al paziente a ciò sarebbe finalizzato. Viene così sentenziata la valenza eugenetica, sempre negata, della legge 194. Del resto, anche in Italia le persone affette da sindrome di Down sono una specie umana in via di estinzione e in altri Paesi, come la Danimarca, le autorità sanitarie si sono addirittura proposte l’obiettivo di diventare 'Down free' entro il 2030. Ma se il rapporto medicopaziente è ridotto a contratto e la nascita di un disabile, non per colpa del sanitario, ma solo perché non gli è stato impedito di nascere, è equiparata a un danno patrimoniale, è inevitabile che ne derivi una forte spinta alla medicina difensiva. Il medico cercherà di coprirsi da rischi facendo firmare al paziente complessi fogli di spiegazioni e autorizzazioni, come in banca per l’apertura di un mutuo o di un conto corrente, prevedendo tutto il prevedibile, non per un’informazione consapevole del paziente, ma per la tutela del professionista: più una check-list da sottoscrivere che un consenso informato. Il medico si difenderà anche facendo eseguire esami inutili, spesso costosi, talora invasivi, non per tutelare la salute del paziente, ma per coprire se stesso da possibili imprevisti, con inevitabile lievitazione della spesa sanitaria. Infine, paradossalmente, se il desiderio dei genitori biologici si fosse limitato a un figlio«prodotto» privo di difetti, da acquistare con contratto e sul quale lucrare un risarcimento se fallato, allora è meglio per la piccola che sua madre e suo padre l’abbiano disconosciuta. Siamo fiduciosi che nel frattempo abbia trovato buoni genitori, dai quali sia stata accolta con affetto, rispetto e umanità, come un dono. Qualcuno capace, come nel caso di Chiara di cui ha dato recentemente conto 'Avvenire', di accompagnarla magari anche alla laurea, nonostante la trisomia 21. 
*Presidente del Movimento per la Vita
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